Non di solo pane
12 9 2015
Non di solo pane

Ovvero: della scelta del ristorante

Anthelme Brillat-Savarin, il primo intellettuale gourmet dell'Evo moderno, sosteneva: "Invitare a cena qualcuno significa occuparsi della sua felicità finché sarà sotto il vostro tetto". Il giornalista milanese Gianni Mura e il giallista pisano Marco Malvaldi concordano e, nell'incontro "De gustibus", hanno costruito un divertente dialogo sul mangiar bene, intendendolo soprattutto come ricerca del benessere, come modo di valorizzare il proprio tempo libero.

A meno di essere cuochi provetti, per avere piena partecipazione delle gioie della tavola occorre indirizzarsi presso un ristorante; potenziale locus amoenus, nel quale, tuttavia, basta un semplice dettaglio fuori posto perché l'esito di una serata sia irrimediabilmente compromesso. Alla luce della sua cinquantennale esperienza, Mura ha deciso di dare ai buongustai alcuni consigli per evitare scelte sbagliate e cene da dimenticare, raccogliendoli nel volume Non c'è gusto.

Prima regola: l'apparenza conta. Evitare come la peste chi si presenta con insegne al neon, quadri inguardabili, abominevole mobilia, centritavola di fiori finti: non ha buon gusto nell'arredamento, come potrebbe averlo nella preparazione dei piatti? Del pari, attenzione alla scelta delle musiche: canzonette sgradevoli ad alto volume potrebbero assai nuocere alla vostra cena romantica.

Capitolo a parte, il menù: per prima cosa, non ha alcun bisogno di essere corredato da fotografie (i piatti sempre uguali, fatti con lo stampino, li amano solo gli americani); i nomi delle pietanze non dovrebbero essere troppo vaghi ("fettuccine a modo mio") né troppo specifici (ci risparmiamo l'esempio per amor di brevità), ed è necessario che scansino verbalismi inutili ("il risottino coi suoi funghetti del nostro orto") e aggettivazione soggettiva ("zuppa tiepida"). Inutile dire quanto denominazioni suggestive come "pollo eccitato" siano da rifuggire senza pensarcidue volte.

(caricamento...)

Seguire le mode può rivelarsi controproducente; dal carpaccio di ananas al tiramisù soffiato, dalla crema di barbabietola alla triade (oggi un po' decaduta) panna-prosciutto-piselli, sono moltissimi i cibi davvero difficili da apprezzare, nonostante la popolarità. In particolare, esiste una speciale idiosincrasia tra Mura e il sushi, da muovergli contro un'ironica campagna, il cui eloquente slogan suona "Lardo ai giovani".

Le esperienze esotiche sono senz'altro stimolanti, ma spesso deludono: Malvaldi ricorda la mestizia dei camerieri portoghesi (sarà la saudade) e il terribile uovo in salsa di rafano, piatto nazionale olandese; Mura il sapore non troppo gradevole del pipistrello ("... ma non avevo termini di paragone") e di certe salse coreane. Bisogna valutare con attenzione anche le specialità italiane: fa impressione pensare che molti zebù brasiliani diventano pregiata bresaola valtellinese.

Infine, condanna totale per il modello di ristorazione proposto dalla tv: il mito dello chef rampante e competitivo e le gare a tempo hanno fatto perdere alla cucina il suo carattere lento, meditato e consapevole. "Non facciamo crescere gli alberi tirandoli dall'alto", dice Malvaldi citando un adagio nipponico; riscopriamo piuttosto, senza fretta, il valore insieme ludico e culturale del mangiar bene.

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