Notizia dell'ultima ora: il Mincio non esiste!
10 9 2021
Notizia dell'ultima ora: il Mincio non esiste!

Annalisa Metta racconta una storia tutta romana di generosità tra uomini e fiumi, tra terra e acqua

Non scandalizzatevi, mantovani all’ascolto: non è solo il Mincio a non esistere, ma tutti i fiumi. Sono invenzioni dell’uomo, che ha dato nomi, argini e confini all’acqua che invece, come un’innamorata, cerca da sempre la terra. È categorica Annalisa Metta, architetta del paesaggio, che si definisce «architetta di ciò che ha il cielo come tetto»; e tra una carta idrogeologica e l’altra è in realtà la sua capacità di raccontare la natura impersonificandola in una vera e propria favola che ci tiene tutti avvinti per la mezz’ora di questo Accento.

In questa relazione tormentata, passionale e un po’ litigiosa tra acqua e terra, l’uomo ha giocato ruoli ambivalenti. Se ora è l’amico perentorio che consiglia il divorzio al primo litigio, costruendo argini possenti e alti come quelli che a Roma contengono il Tevere, risalenti al 1870, ci sono stati momenti in cui invece l’umanità aveva una posizione più pacifista, da mediatore sentimentale tra le due parti, che faceva vedere il lato positivo di ogni lite e ricordava ai due amanti quanto si vogliono bene. Ecco, i romani erano così, nei confronti del rapporto tra la passionale Urbe, imperiosa e austera, e il buon vecchio Tevere, signore gentile anche se a volte, quando si arrabbia, «dà fòri», come si dice a Roma.

E come potevano essere altrimenti? Basta una carta idrogeologica per capire che Roma non è costruita «sull’acqua», ma «nell’acqua», un po’ come Mantova stessa; e questo abbraccio di elementi era occasione di creare bellezza, di rendere la natura monumentale, e i monumenti naturali. Il Tevere aveva, prima del 1870, rive modellate in modo estremamente vario, ricche di insenature, porticcioli a gradoni, come fossero teatri da cui ammirare la bellezza del fiume. Rive che oggi sono visibili solo in documenti storici, come quella del porto di Ripetta.

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Ma ci sono anche monumenti “acquatici” che hanno resistito all’attacco del tempo; se pensate di non conoscerli, vi sbagliate, ed è anche molto probabile che li abbiate visti, se vi siete recati alla Città Eterna: piazza Navona, il Pantheon e il Circo Massimo. Monumenti che oggi appaiono quantomai asciutti, specie per le maree di turisti che visitano Roma nella canicola estiva, ma che, tra documenti d’epoca e il racconto appassionato di Metta, cambiano volto. Perché l’acqua è così, Metta la definisce «incantevole», genera incanto ovunque si posi, sa cambiare paesaggi e creare nuovi mondi.

Si susseguono le immagini di piazza Navona allagata da Papa Vincenzo X, che chiude le due fontane e lascia che l’acqua riempia la piazza, allora di forma leggermente concava, facendo sì che i romani si potessero rinfrescare; o ancora il Pantheon, anch’esso concavo, che nelle illustrazioni d’epoca ospita perfino barche a vela; e infine il Circo Massimo, una meraviglia architettonica che è stata volutamente costruita in accordo alla falda acquifera sottostante come una forma vuota, generosa, capace di accogliere la potenza dell’acqua senza soccombere.

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È proprio la generosità il valore che più di tutto è ricorso in questa mezz’ora densa come la terra ma fluida come l’acqua. La generosità della natura nell’offrirci la possibilità di creare bellezza e incanto, ma anche la generosità dell’uomo nell’accogliere questa offerta, senza volerla dominare a tutti i costi. È proprio la generosità infatti che determina il funzionamento di qualsiasi negoziato, oltre ad essere prerogativa di ogni rapporto, che sia il gioco, o che sia l’amore; se vogliamo che la relazione tra natura e uomo torni a funzionare, non possiamo farne a meno. E chissà che la storia acquatica di Roma non possa reinsegnarcela.

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