Osti si nasce, non si diventa
9 9 2021
Osti si nasce, non si diventa

Le esperienze ostinate di Casamenti, Mastrovito e Montanaruli

"Osteria" è parola antica e quasi desueta, lontana dal glamour e dalla moda che trasforma ogni cibo in food, ogni zuppa in ramen, che "destruttura" ogni piatto che dispone ogni insalata rigorosamente in un "letto". L'osteria è parte di una comunità e di un territorio, raccontato nella sua varietà e diversità nel volume Ostinati, pubblicato da Slow Food, attraverso 15 testimonianze (e 115 ricette) di osti scelti tra quelli contenuti nella guida Osterie d'Italia. Con la curatrice Francesca Mastrovito oggi nell'Aula Magna dell'Università di Mantova, a presentare il libro, ma soprattutto il proprio lavoro, tre osti appassionati.

Roberto Casamenti e la moglie Alessandra, gestori di La Campanara a Galeata (in provincia di Forlì), dichiarano subito: «Noi non siamo nati osti, però siamo ostinati!». Lui geometra e lei insegnante di ruolo, dal momento in cui hanno deciso di dedicarsi alla ristorazione non si sono più guardati indietro (lei ricorda con simpatia il giorno in cui ha presentato le dimissioni al Provveditorato di Forlì gettando nell'imbarazzo il personale amministrativo, che non sapeva come gestire la pratica). Appassionati del loro lavoro, ne evidenziano tutti gli aspetti legati alla stagionalità delle materie prime, quando è la natura a decidere cosa si porterà in tavola. Per spiegare il valore che ha per loro la fatica spesa a pulire chili di verdure dell'orto, citano Garcia Marquez: «Con l'accurata minuzia di chi non ha fretta e ha trovato nel suo lavoro impercettibile la miglior misura del proprio tempo», La frase che hanno voluto stampare su tutti i loro tovaglioli.

Francesco Montaruli ha aperto un'osteria in un'altra estrema provincia italiana, a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, quella che lui definisce l'Arizona della Puglia, alle porte delle Murge. Figlio di contadino, ha chiamato la sua osteria Mezza Pagnotta, in nome della spartizione del cibo che segnava la vita del mezzadro al servizio del latifondista. L'ha concepita vicina alla terra e ai suoi prodotti, non serve pasta né carne, solo verdure e legumi, ingredienti freschi ogni giorni raccolti dai produttori locali, alla riscoperta dei gusti antichi, dei sapori non omologati dal consumismo e dal conformismo alimentare.

Più che delle ricette, delle tecniche per affettare le verdure, dei coltelli giusti per tagliare le cipolle, qui si parla degli ingredienti scelti a chilometro zero, che stupiscono i clienti per il gusto nuovo che in realtà è antico: «Questa marmellata di more sa proprio di more! Questo prosciutto sa proprio di maiale!» Capita così che, come successe a Proust con la famosa madeleine, la cliente che mangia i ceci verdi freschi ricordi improvvisamente suo nonno, con cui li aveva mangiati da bambina, richiamando a sé un'immagine che sembrava sepolta, insieme a quel sapore.

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