Parole da mangiare
11 9 2015
Parole da mangiare

I racconti culinari dal Festival

(caricamento...)

“Negli Stati Uniti si dice che la musica è il cibo dell'anima, quindi l'ho unita alla cucina”. Questo il credo di Don Pasta (al secolo Daniele De Michele), già dj, economista e appassionato di gastronomia. E, non a caso, questo chef delle note crede che l’Artusi sia il Bob Dylan della cucina. Ecco perché, in Artusi Remix, Don Pasta spiega che il primo blogger della storia forse fu proprio lui, Pellegrino Artusi, che nell’Ottocento raccolse le ricette inviategli da tutta Italia.

Gli eventi di Don Pasta al festival sono due. Il primo, Artusi Remix, vede la musica perfetta coprotagonista grazie al supporto di Daniele Di Bonaventura alla fisarmonica. Ci sono blues della macchina piena: quella che Don Pasta riempie per portare quintali di formaggio e di melanzane dal Salento (ah, anche quintali di caffè: è risaputo che quello d’Oltralpe fa schifo). Ci sono anche standard jazz riarrangiati per fornelli. Perché, se Coltrane si disontissicò dall’eroina, fu solo per cadere nel tunnel ancor più micidiale delle polpette. E poi ci sono gli album che si alternano sul lettore cd della 4 ruote. “London Calling” e la sua copertina che sembra mimare il gesto di uno chef. Tom Waits indeciso se festeggiare un San Valentino in blu o dare la colpa al pianoforte (è lui, ad aver bevuto, non io). Intanto Don Pasta racconta, taglia, sminuzza, frigge: “Mia nonna diceva: se hai un problema, aggiungi olio”. In tutto questo, la figura di riferimento per Don Pasta è proprio lei: la mamma della mamma. Però, come fare a mettere per iscritto ricette che, spesso, non nascono da un metodo preciso ma dall’occhio della cuoca e vengono spiegate con onomatopee? Allora, prima ancora di discutere sui pomodori a kilometro zero, bisogna recuperare il rapporto con le nonne che interiorizzavano il gesto, più che le dosi: “La ricetta è corpo”. La serata musicale si chiude con Don Pasta (“Non un prete, ma un funzionario della perdita del tempo”) che sale su una sedia e declama: “A scuola non si possono portare i dolci fatti in casa? Vergogna! Siate militanti fino in fondo! Il mondo è incontro di fritture!”.

(caricamento...)

Il clou del secondo evento, le parole del cibo delle cibo delle 12.00 di giovedì, si ha però quando Don Pasta legge la ricetta dei tortelli di zucca, EVIDENTEMENTE non suggeritagli da un mantovano. Se, come ricorda il moderatore Paolo Polettini, una volta “i Gonzaga mangiavano schifezze”, oggi le signore mantovane insorgono quando Don Pasta legge una ricetta emiliana (udite udite), che chiama i tortelli di zucca “ravioli” o spiega che “la zucca cotta al forno è una scorciatoia per chef televisivi”. Non parliamo poi di quando il povero chef prova a chiedere se, invece, la cannella e chiodi di garofano possano andare bene. L’unico assioma che sembra mettere d’accordo tutti, emiliani e gonzagheschi, è che, sì, i tortelli di zucca sono così buoni che si possono mangiare pure il giorno dopo.

Festivaletteratura