«Per me prosegui, e io continuo a seguirti»
6 9 2024
«Per me prosegui, e io continuo a seguirti»

"Discorso per un amico" di Erri de Luca

C’è una spinta in natura, uguale ed opposta alla forza di gravità, che muove verso l’alto. Nessuno la indaga, ma conosciamo le sue manifestazioni. Un albero, ad esempio. Al di là di come matura il seme piantato, il germoglio bucherà la terra e verrà in superficie. Come faccia il germoglio a conoscere la via d’uscita corretta senza rischiare di sprofondare verso il basso è un mistero. Sembra animato da un burattinaio. Lo stesso che sa far crescere le montagne «che non sono altro che fondali marini lievitati ben oltre il livello del mare». Sulle montagne l’uomo ci arriva tardi. Sono rimaste per lungo tempo rifugio di divinità che lasciavano sorgere acque vitali, benedizioni e punizioni. I primi frequentatori della montagna furono i briganti. La caccia e il relativo commercio del proibito erano attività rischiose, ma molto redditizie. I briganti hanno poi avuto la responsabilità di scortare ricchi europei sulle vette più alte delle Dolomiti, che non a caso oggi portano nomi inglesi o francesi. A differenza di tutti gli altri luoghi del globo, però, le montagne non hanno padrone. «Se mi va di scalare una parete non devo chiedere il permesso a nessuno».

Oggi la montagna è cambiata. La stagione turistica estiva dura diversi mesi, quando solo qualche decennio fa i montanari lavoravano solo due settimane ad agosto. Forse è cresciuto l’interesse per la montagna «perché c’è spazio sufficiente a dare l’illusione di essere da soli». La natura in montagna resta ostile all’uomo e nel vocabolario di Erri de Luca c'è una differenza sostanziale tra le parole "natura" e "ambiente". «Chiamo natura quel luogo in cui l'uomo è assente. Chiamo ambiente ciò che circonda l'uomo». Istinto dell'animale uomo è indagare «i bordi» dell'ambiente: i punti di confine. Mare e montagna sono il punto esatto in cui l'ambiente smette di circondare l'uomo e si fa natura. I punti di confine sono pericolosi, tutti. E anche la montagna è pericolosa. Però, a costo di afferrare per un attimo il brivido di sentirsi soli al mondo, va a fare fatica. «Ed è la bellezza di quei luoghi che spiega il perché si va lassù».

Erri de Luca fa roccia da tempo. «Sono più stabile su quattro appoggi che su due: quando cammino a terra mi sento più fragile di quando arrampico». Scala falesie in Italia, in Europa e un po’ in giro per il mondo. E quando non lo fa da solo, lo fa con altri alpinisti. Si cammina insieme per avvicinarsi al punto di salita chiacchierando di libri, storie e persone. Poi si studia l’ascesa e, nel silenzio, si scala. Durante la salita si respira. Faccenda importante il respiro se si arrampica: «L’aria che la montagna di soffia nel naso è potente come “ruah”, il soffio creatore degli ebrei». Si incontrano “regali”, come «il rumore degli zoccoli di uno stambecco, un cielo stellato o il fiore in una crepa». Si scala, si respira e si torna indietro. Solo quando i piedi toccano terra l’arrampicata è finita. Si sciolgono le corde e si riparte verso casa.

Discorso per un amico, Erri de Luca lo scrive per quella volta in cui l’arrampicata non è finita. Perché l’amico Diego Zanesco non ha messo i piedi a terra. «Un infarto l’ha scollato dalla parete precipitandolo di sotto». Nel libro, negli occhi stretti di Erri de Luca e nella sua voce si percepisce tutta la gratitudine e tutta la dolcezza del legame tra i due. La fragilità dell’amicizia è nel tempo che serve per costruirla perché l’amicizia «non ha colpo di fulmine, come l’amore». Si costruisce ogni giorno. Centimetro per centimetro. Basta poco a romperla, un’amicizia. Ma «gli assenti ingiustificati, quelli a cui non ho dato il permesso di andarsene, si autoconvocano dentro di me. Non conosco la mancanza. Riconosco la presenza».

E quell’arrampicata, quel duetto di respiri, continua.

Perché in alcuni casi «le funi non sciolgono. Si resta legati».

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