Personaggi al bivio: la vita è un libro
11 9 2021
Personaggi al bivio: la vita è un libro

Gabriele Romagnoli intervistato da Marcello Fois

La buona letteratura è quella che ci trasporta altrove, che ci porta un po’ più in là rispetto a dove eravamo quando abbiamo iniziato a leggere. L’ultimo romanzo di Gabriele Romagnoli, giornalista e scrittore bolognese, si intitola Cosa faresti se (Feltrinelli, 2021): a dispetto del titolo non è proprio un libro sulle scelte, ma un sapiente composto artigianale in cui tutti gli ingredienti sono tenuti insieme da una scrittura capace di rispettare i tempi dei protagonisti e l’evolversi delle situazioni. «Mimando la naturalità, Romagnoli crea un mondo di personaggi riconoscibilissimo, molto simile alla nostra realtà quotidiana. L’operazione di tutoraggio della vicenda, inoltre, è il grande pregio di questo libro»: così Marcello Fois, poliedrico autore nuorese, descrive l’opera senza svelarci la trama, mentre intervista l’amico e collega. «Tutti noi siamo drammaticamente collegati ed entriamo in armonia con gli altri, non senza difficoltà – commenta Romagnoli –. La pandemia ci ha insegnato che ogni scelta che facciamo è un contagio perché si irradia sugli altri».

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Fois lo elogia, inoltre, per la capacità, non scontata, di saper fare bene due mestieri in realtà distanti fra loro: quello dello scrittore e quello del giornalista. «Basta mantenere onestà intellettuale e coerenza e si possono fare entrambi i lavori, non serve indossare due cappelli diversi a seconda dell’occasione», risponde Romagnoli, i cui primi esperimenti di scrittura risalgono alla prima adolescenza, quando scrisse una parodia di Huckleberry Finn di Mark Twain, si cimentò come cronista di partite inventate e abbozzò romanzi mai pubblicati. «Non conosciamo i nostri lettori, per questo, in primis, occorre portar loro rispetto. Cosa vuole davvero il pubblico, poi, non lo sa nessuno. È un arcano, si va per tentativi, si prova a indirizzarne gusti e interessi, salvo scoprire che la direzione è tracciata spesso da chi osa andare fuori dal coro o azzarda operazioni originali, come ha fatto il premio Pulitzer Moehringer con l’autobiografia Open di Agassi».

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In fondo «la vita stessa è un libro», afferma Romagnoli svelando la propria propensione all’indagine della quotidianità, che precede il suo trasporla in pagina scritta, «e tutti intorno a noi vivono la grande avventura della loro vita, non solo quelli che consideriamo eroi. Con il tempo, poi, tutto diventa più chiaro e si impara a fare il mestiere per cui siamo nati», continua.

Alla base di tutte le storie raccontate c’è sempre anche un dilemma morale, a partire dalla Bibbia – si pensi ad Eva tentata dalla mela e ad Abramo invitato da Dio a sacrificare il figlio Isacco – per arrivare all’opera Pietro e Paolo dello stesso Fois, in cui il protagonista deve scegliere tra la parola data e il proprio dovere, tra l’amico e la patria.

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«Adoro essere frainteso, perché è nel fraintendimento della lettura che il libro diventa altro da sé», confessa Romagnoli a proposito di dilemmi. «La parola è il dna degli scrittori, ci rappresenta – afferma Fois –. Coltivarla per noi significa mettersi sempre in discussione: l’esatto opposto di ciò che fa il Fascismo, per il quale la parola è espressione senza elaborazione, un atto dittatoriale nei confronti del concetto». Il privilegio dello scrittore è di avere dei lettori: «Quando scrivi dai la tua parola a qualcuno, per cui non puoi mentire. Le parole pesano, ma è giusto così, altrimenti sarebbe tutto uguale», aggiunge Romagnoli, che crede nella scrittura autentica, intesa in termini di semplicità assoluta, che rinunci ai virtuosismi: una semplicità solo apparente, frutto di incessanti sottrazioni e labor limae per dare al lettore l’essenza della storia. «L’obiettivo è raccontare le vicende con il minor numero di parole possibile», afferma: una tendenza tuttavia secondo lui poco diffusa nella scrittura contemporanea. Già Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò, ricorda Fois, sosteneva che «Quando la scrittura è perfetta non c’è». Una conquista che porta con sé il rischio di un horror vacui a posteriori, «la maledizione dell’opera troppo perfetta», continua. «Che fare ora? Non c’è altro da correggere?» si potrebbe chiedere l’autore, come nel finale del mito di Orfeo ed Euridice o del film Il laureato, in cui i protagonisti sembrano rimanere smarriti dopo aver portato a termine la loro missione. E se Orfeo avesse provato proprio questo nel voltarsi un’ultima volta a guardare la sua amata?

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Capita anche nella vita, quando ci si siede sulla cima del proprio desiderio più grande e in quel momento questo inizia a perdere quell’aura sognante che gli avevamo attribuito. Rimanere prigionieri del proprio desiderio può essere una condanna, ma altrettanto fuorviante è concepire la letteratura come catartica, a conferma e compimento di un processo di purificazione attraverso la consapevolezza, come accade in molti romanzi contemporanei. «Tutta colpa di Freud!», sostiene Romagnoli: è lui che ci ha convinti del fatto che tutti i problemi individuali si possono risolvere andando al nocciolo della questione e affrontandolo; e che questo nocciolo, nella maggior parte dei casi, coincide con un grave trauma infantile.

Se non fosse diventato scrittore, Romagnoli avrebbe voluto fare il magistrato. «È bello inventarsi il proprio mondo, come quando i bambini giocano a “facciamo che” – afferma –, ma meglio creare un mondo che sia riconoscibile». Nel nostro percorso personale e professionale gli altri sono sempre l’orizzonte di riferimento, perché le nostre scelte riguardano anche loro. La convivenza e la tolleranza si imparano con il tempo e a ogni bivio occorre chiedersi non solo cosa è meglio per noi, ma anche per le persone che abbiamo di fronte, proprio come fanno i personaggi del libro: cosa faremmo noi se…?

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