Pratiche necessarie di libertà
7 9 2024
Pratiche necessarie di libertà

Riscoprire e discutere i testi femministi con Giulia Siviero

«Il femminismo […] è stato e resta un movimento di pratiche di libertà che vanno rimesse al mondo continuamente» dice Giulia Siviero nell’introduzione di Fare femminismo (Nottetempo, 2024). Per la studiosa, giornalista e scrittrice, le pratiche hanno un ruolo fondamentale, sovversivo e detonatore.

Il piccolo assaggio di biblioteca femminista che la studiosa presenta, nell’ambito della serie di eventi Collane, muove da due spinte: la prima è che, in un mondo che sempre più riduce le battaglie a degli slogan e molti diritti fondamentali vengono negati, sedersi ad un tavolo, oppure in cerchio intorno a Siviero, e leggere i testi femministi è un atto non solo rivoluzionario ma anche necessario. La seconda è che non basta farlo una volta sola, perché riprendendo il suo scritto, bisogna continuare a parlare di determinate tematiche, bisogna farle circolare continuamente, senza dare mai nulla per acquisito.

La necessità sottolineata da Siviero si concretizza, appunto, nella scelta di 5 testi per lei fondamentali, che permettono al pubblico di ascoltare dei pezzi di storia – dalla Rivoluzione Francese all’altro ieri – anche grazie ai quali oggi molte donne possono leggere, scrivere, parlare, urlare e arrabbiarsi senza sentire che non è qualcosa che a loro appartiene.

La prima voce prorompente, che emerge dalla prima ondata femminista, è quella di Olympe de Gouges, drammaturga e attivista francese vissuta negli anni della rivoluzione; anni che – senza che questo stupisca nessuno – si studiano oggi e sono stati vissuti ieri all’insegna dell’uomo. De Gouges non la vede così: quando viene redatta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, con la quale si passa dall’ancien regime ad un mondo in cui tutti gli uomini, nel senso biologico del termine, sono uguali, risponde provocatoriamente con la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Ci sono anche le donne, ci sono sempre state e De Gouges ne rivendica l’uguaglianza politica e sessuale. Fonda il Circolo Sociale, una delle prime associazioni con questo scopo, e come tanti volti di quegli anni verrà mandata a morte, lasciando però scritto che, così come ha avuto il diritto di salire sul patibolo, «allo stesso modo la donna deve avere il diritto di salire alle più alte cariche».

Andando avanti di un secolo, il secondo titolo proposto è Three Guineas di Virginia Woolf che forte degli insegnamenti di chi è venuta prima di lei riesce a fare un passo in avanti, arrivando a proporre un nuovo modello.

Questo perché Woolf è una delle prime a sviluppare la formulazione della differenza sessuale: uomini e donne non sono uguali per niente, ma questa è un’occasione. Gli uomini sono quelli che hanno fatto la guerra, senza pensare che le donne avessero assolutamente voce in capitolo, e le hanno tagliate fuori dal loro spazio. Ciò che cambia, nell’ottica di Woolf, è che si può prendere questo spazio, dove le donne hanno avuto la fortuna di venire escluse tutte insieme, e renderlo nuovo, creativo, spinto verso qualcosa di nuovo. In un’ottica di pace e non di guerra.

«Il modo migliore per stare al mondo, per una donna, e per dare il proprio contributo e prevenire la guerra, non è quello di accordarsi al corteo degli uomini colti, di riprendere le loro parole e seguire i loro metodi, ma di trovare parole nuove, creative, inventare nuovi metodi».

Figlia del passaggio dalla prima alla seconda guerra mondiale, è invece Doris Lessing, che analizza quanto è successo alle donne in quel periodo. Donne che sono uscite dalle loro case, dai loro spazi chiusi; mentre gli uomini erano al fronte, sono entrate nelle fabbriche e hanno lavorato. Nel suo Taccuino d’oro, terzo titolo della collana che nasce dalle letture di Siviero, Lessing registra un momento in cui si può scegliere tra due estremi, se si è donne: si può scegliere l’emancipazione, che però cammina affianco ad un senso di incompletezza, oppure si può adeguarsi, rimanendo infelici.

Il mondo va avanti, gli anni scorrono e così la storia. E il quarto libro proposto è frutto della seconda ondata di femminismo, quella del ’68, che si chiede «perché niente cambia, anche se molto è cambiato?». Secondo Carla Lonzi (Sputiamo su Hegel), il problema sta nella schiavitù sessuale, quindi bisogna partire dalle proprie esperienze, «farne pensiero e politica», dimenticando quanto sempre è stato detto dagli uomini. Bisogna «vivere in nome della propria differenza», mettere in discussione il concetto di potere: le donne devono poter essere soggetti di diritto a tutti gli effetti perché è giusto così, e non perché si sono adeguate ad un paradigma sessuale che non è il loro. E a chi si senta disturbato dall’affermazione di queste differenze Lonzi risponde, molto semplicemente, che a fare grande differenza è l’assenza, millenaria, dalle donne nel racconto dalla storia.

La differenza tra i due è qualcosa che travalica nel patto sociale, nel quale però la violenza resta in mano all'uomo, che può esercitarla su di Lei, che rimane indifesa. Il sovvertimento nel nome della differenza è quindi ciò di cui c'è bisogno anche secondo Luisa Muraro (Dio è volent), l’ultima voce evocata da Siviero nella sua collana.

Giulia Siviero, in quella che è non solo una lezione, ma un dialogo proficuo, ci ricorda l’importanza fondamentale della rappresentazione, del raccontarsi e del sentirsi raccontare. Aiuta a tenere sempre presente quanto il linguaggio faccia la differenza, quanto impegnarsi attivamente faccia la differenza. E che bisogna continuare, perché «l'impossibile tarda solo un po' di più».

Festivaletteratura