Profezie
11 9 2020
Profezie

Mirko Zardini: l’architettura come speranza in un futuro migliore

Piazza Santa Barbara. Mirko Zardini, architetto, autore, curatore e docente universitario, si mostra scettico verso le profezie che creano delle aspettative, ma non alimentano la speranza. Per parlare di futuro bisogna conoscere i limiti, guardare il passato e chiedersi: cos’è importante ricordare? Perché? Per chi?

Durante la pandemia tutti noi abbiamo fatto un’esperienza di segregazione e ci siamo accorti dell’inadeguatezza dei nostri spazi pubblici e privati. Sono nate nuove proposte da parte di architetti e urbanisti. «Ma bisognava aspettare la crisi per reagire?» «Non potevamo accorgercene prima?» Sono le domande che si pone l'architetto.

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Se si analizzano alcune crisi significative precedenti, come quella del petrolio nel 1973 durante la guerra araboisraeliana o la crisi finanziaria del 2008, in cui tante persone sono rimaste senza casa in America, o quella del 2001 con l’abbattimento del World Trade Center, ci accorgiamo che sono state fatte delle promesse che tuttavia non sono state mantenute e realizzate. La riduzione dell’uso delle macchine o dei termostati nel 1973 a causa della mancanza di petrolio ha ispirato buone intenzioni riguardo all'ambiente. Nel 2008 tanti architetti hanno promesso di lavorare su progetti pubblici e poi i progetti non sono stati realizzati. Inoltre, la crisi del 2001 e gli attacchi terroristi in alcune città come Madrid o Londra hanno prodotto dei cambiamenti profondi legati allo spazio pubblico, tra cui un notevole aumento del controllo all’interno delle città: ciò che Zuboff ha denominato «capitalismo della sorveglianza». Ma nonostante questo non si sono prodotti dei cambiamenti profondi nel modo di pensare l’architettura.

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Cosa bisogna aspettarsi quindi dagli architetti oggi? Sembra chiaro che l’architettura non possa risolvere i nostri problemi e nemmeno curarli. Bisogna smettere di pensare ai grandi progetti, come se l’architettura potesse migliorare tutta la società. Non può fare quello, può invece migliorare la nostra forma di vita. Non può curare, ma si prendersi cura delle persone a partire da tre assi definiti dall’architetta Joan Tronto nella sua concezione di un’etica pubblica: «mantenere, continuare, riparare». L’architettura deve poter misurare i costi del suo impatto ambientale, nella sua complessità, e mettersi al servizio dell’interesse pubblico. Con la pandemia abbiamo iniziato a vedere tutti i problemi che c’erano ma a cui non facevamo attenzione. E da questo punto di vista l’architettura è necessaria per sperare in un futuro migliore.

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