Quando l'economia uccide
10 9 2021
Quando l'economia uccide

Anne Case e Angus Deaton: Morire per disperazione in un sistema che opera contro le persone

La speranza di vita media negli Stati Uniti è di circa 79 anni: un numero che si avvicina più ai dati dei paesi dell’Europa orientale che di quella occidentale. Nel 2017 sono stati 160.000 gli statunitensi «morti di disperazione», che è l’espressione che usano l’economista Anne Case e il premio Nobel per l’Economia Angus Deaton nel loro saggio Deaths of Despair and the Future of Capitalism per definire le morti causate dall’alcolismo e dall’uso di droghe e oppiacei e i suicidi. Durante l’evento i due economisti hanno dialogato in diretta streaming con il giornalista Alberto Magnani.

«All’inizio i report finivano nel cassetto» ha spiegato Case «finché le proporzioni non sono diventate troppo grandi per poterle ignorare». Si è allora dovuta affrontare la realtà: la perdita di lavoro, l’abbassamento dei salari, i processi di automatizzazione sono enormi fattori di rischio, in particolare per i lavoratori low-skilled.

Si è osservato, a questo proposito, quanto forte sia ormai la polarizzazione fra i lavoratori high-skilled e low-skilled. Il livello di specializzazione della professione è il discrimine fondamentale: se all’inizio fra i «morti di disperazione» erano sovra rappresentati gli uomini e i bianchi, questa disparità si è ridotta a partire dal 2013, mentre una linea divisoria fondamentale rimane l’aver conseguito o meno un diploma di laurea quadriennale.

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Questo dato dimostra come non sia sufficiente «avere un lavoro»: quando questo è retribuito pochissimo o svolto in condizioni mortificanti si incorre comunque nel rischio di morte per disperazione. Ma Case e Deaton hanno sottolineato come l’economia non sia l’unico fattore coinvolto. Da un lato, infatti è significativo il ruolo della comunità. In questo, la società europea è avvantaggiata rispetto a quella statunitense, che tende molto di più all’individualismo e all’attribuire la colpa del fallimento al singolo piuttosto che al sistema. Dall’altro, i due economisti si sono scagliati contro il sistema sanitario statunitense, accusato di somministrare troppi oppiacei e di causare indirettamente innumerevoli morti per overdose. Le colpevoli sarebbero le grandi case farmaceutiche, votate al profitto più che al bene comune, pronte a vedere nella classe povera il target perfetto a cui vendere quanti più oppiacei possibile.

Morti per disperazione non è però un saggio anticapitalista: sia Case sia Deaton affermano di credere che il capitalismo, se opportunamente limitato, sia in grado di stimolare la competizione e l’innovazione. Ma è evidente che la situazione attuale è problematica. Sebbene non manchino, nei discorsi di Deaton, i momenti di pessimismo, la speranza dei due economisti rimane quella di stabilire un sistema economico che operi «per le persone, e non contro di loro».

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