Essere donne, artiste e femministe oggi
«Questo corpo che mi vuole bene / anche se cade non succede niente / è una promessa che faccio a me stessa / io mi riprendo / quello che mi hai portato via».
Le parole di Veronica Lucchesi (aka La rappresentante di lista) sono l’esergo perfetto per raccontare l’incontro tra Margherita Vicario e Giulia Muscatelli, e questa canzone potrebbe esserne la colonna sonora.
Due giovani donne, due giovani artiste, che hanno messo al centro della loro arte e della loro riflessione il corpo, il suo essere presente, vivo, fisico, il suo occupare uno spazio che non può in alcun modo essere ignorato. Un diverso vissuto del corpo: da un lato, Giulia Muscatelli, che descrive in Balena (nottetempo, 2022) la percezione della costrizione esterna, di uno sguardo giudicante che determina una sofferenza: «mi sono resa conto di avere un corpo quando me l’hanno fatto notare gli altri, le altre. [...] Ho compreso che c’era una parte che comunicava per me – indipendentemente da me – quando gli altri, le altre, hanno iniziato a giudicarla». Dall’altro, un problema «con me stessa» (così risponde Vicario), nel quale il mondo circostante non sembra entrare. Eppure, qualcosa di comune c’è: la difficoltà a convivere con il proprio corpo, il percorso accidentato che porta ad accettarsi, che non sempre riesce e non sempre si conclude con una pacificazione.
Una guerra persa in partenza, con se stesse o con il mondo.
Ancora oggi, nel 2024, parlare del proprio corpo è gesto rivoluzionario: Balena sorprende per il modo schietto e sincero di confrontarsi con un corpo che esplode e diventa del tutto incontrollabile. Margherita Vicario diviene icona di un certo femminismo giovane e vocale, che vuole urlare e cantare, come fa lei in Come va, «mi mostro al mondo per come son fatta / col culo rotondo, con la gola distrutta / coi problemi in famiglia / con il peso sul petto», abbracciando la complessità della propria identità, che prevede e non può ignorare la presenza del corpo.
D’altronde, «il cantautore traduce quello che vive sulla propria pelle»: la bravura di Vicario sta nella sua capacità, di cui lei stessa non pare totalmente consapevole, di raggiungere e toccare nel profondo un’intera generazione. Vicario nel parlare di questo amore da parte delle fan cerca di sminuire, commentando che le sue canzoni, spesso, non sono altro che «imperativi esortativi» rivolti a se stessa: un intreccio di personale e politico che, ancora una volta, riguarda il corpo.
La canzone d’autore, il teatro-canzone delle origini, diviene il perfetto strumento per mettere insieme poetico e politico: un modo di descrivere il reale che è schietto, esplicito, e con il passare del tempo sempre più aggressivo, quasi come se Vicario si stesse liberando delle costrizioni che la tenevano relegata al raccontare solo la propria vicenda personale. Ma, se davvero “il personale è politico” – cosa di cui Giulia Muscatelli si dice ancora fermamente convinta – intrecciare i due piani diventa inevitabile, prendere ed esplicitare una posizione un gesto quasi necessario per chi occupa una posizione in qualche modo pubblica.
Non è universalmente vero, e non tutti dovrebbero sentirsi obbligati a occupare politicamente uno spazio, ma il fatto che lo facciano due artiste giovani e brillanti è potente e riempie di speranza per il futuro.
«Scriviamo per la gloria / qui non si fa la storia», parole che in Aria! Vicario mette in bocca alle protagoniste del suo film. La gloria di cui parla è la gloria di Dio: si descrive un mondo in cui alle donne era impedito di sfondare e raggiungere il successo, e la bravura, il talento che «sarà sempre ugualmente distribuito», veniva relegato nelle sale chiuse dei collegi e dei conventi. L’opera di recupero che Vicario ha condotto in Gloria! è un’operazione quasi rivoluzionaria, che riporta alla mente le genealogie di scrittrici ricercate e ricostruite da Virginia Woolf all’inizio del Novecento: per capire chi siamo, per avere la forza di proseguire sui propri passi, di cercare di abbattere nuovi muri, bisogna avere da qualche parte la certezza, o almeno la speranza, di star seguendo le impronte di un’altra, di non essere sole. Maddalena Laura Sirmen, l’unica compositrice del XVIII sec. di cui si conservino partiture, diviene un lumicino in un buio altrimenti fittissimo, una “sorella di Shakespeare” che ha sconfitto le nebbie della storia, per tornare sempre a Virginia Woolf e al suo Una stanza tutta per sé. E le due artiste si mostrano estremamente consapevoli della necessità di ricordare chi è venuto prima di loro, parlano dei loro modelli, registe, cantanti, autrici che le hanno segnate e hanno contribuito a costruire un vero e proprio albero genealogico della loro arte.
«Mi piace mettere le zampe sotto la scrivania e studiare», commenta Vicario, scavare nel passato, o nelle proprie ossessioni recenti, e servirsene per la propria arte. La cantautrice parla di Gloria! come di un progetto che le stava profondamente a cuore, di una storia che sentiva l’esigenza potente di raccontare: al contempo, una possibilità di scoperta, l’esplorazione di un genere musicale totalmente diverso che offre gli strumenti per fare qualsiasi cosa si voglia.
La creazione artistica come unica strada possibile: «scrivo perché non so fare nient’altro», dice Muscatelli. Corpo e voce che si fondono, si fanno carta stampata che trasuda sangue e sudore.
Mettere in dialogo queste due donne significa, inevitabilmente, parlare di femminismo. Emerge una visione comune, la convinzione che non esista un “femminismo sbagliato”, e che chi tenti di definire univocamente cosa sia il femminismo sbagli. Femminismi al plurale, non femminismo al singolare: questa la chiave per interpretare la realtà in cui viviamo, e in cui è ancora importante tornare al concetto di “sorellanza”, per reinterpretarlo oltre i limiti di un femminismo di seconda ondata che si rivelava profondamente escludente. Essere femministe significa provare, migliorarsi sempre e mettersi nei panni di chi si ha di fronte, impegnarsi a costruire reti, non tentare di raggiungere da sole traguardi che siano unicamente vittorie personali.
È bello pensare a un femminismo che recuperi lo sguardo dei bambini, che diviene per Vicario «la prova del nove dell’uguaglianza nel mondo», una fonte di sicurezza e di certezza: per la cantautrice, i bambini riescono a cogliere nel mondo qualcosa di speciale e fantastico che è difficile recuperare dopo aver superato l’infanzia. Muscatelli, che in Balena ha messo insieme la propria esperienza di bambina e quella di adulta, racconta di aver conservato quello sguardo, quella capacità di guardare il mondo con meraviglia, un universo fatto di animali che parlano e di cose inventate, una visione della vita incantata. Sorride mentre nota che, ora che ha un figlio, può abbandonarsi a quello sguardo infantile senza per questo essere additata come “strana”.
Non abbandonare la rivendicazione politica e attivista, quindi, ma portarla avanti con gli strumenti della meraviglia.
Un intreccio di femminismi diversi ma giovani e vitali, una rivendicazione di spazio e dell’importanza di essere chi si è, lasciando da parte il timore di fare passi falsi: basta ricevere ordini, è ora di cambiare le regole. Uscire dall’infanzia, dall’adolescenza, è anche questo: abbracciare il proprio posto nel mondo con le sue contraddizioni, lasciarsi alle spalle il “peso delle balene” senza dimenticare l’importanza che queste hanno avuto nella nostra formazione. Allora è possibile risignificare quelle parole, farne uno strumento di lotta: la presenza stessa di Muscatelli e Vicario è potente, comunica un’energia vitale straordinaria.
Sulla chiusura di questo incontro sembra, allora, risuonare l'inno alla libertà che è Troppi preti, troppe suore: «Quando ballo non mi riconosco / Quand'ero magra mi sentivo un cesso / Mi ha baciato sotto al ristorante / C'ha una famiglia, quel deficiente / E mi chiamano ma non ci vado / Mi curo ma tendo al degrado / Non riesco proprio a empatizzare / Troppi preti e troppe suore».
Sarebbe stato bello sentirla riempire il Museo Diocesano: ascoltatela, e immaginatelo voi.
L'intervista di Margherita Vicario e Giulia Muscatelli con la redazione di Festivaletteratura