Ritrovarsi nella lingua italiana
7 9 2018
Ritrovarsi nella lingua italiana

Scrittura in transizione tra lingue e identità

È la letteratura a ricercare il senso, a ricostruire quanto la Storia ha spezzato, a restituire umanità là dove è stata negata. Una letteratura che diventa sentimento naturale, veicolo per esplorare i meandri più oscuri della mente o strumento di educazione alla libertà. Le varie sfaccettature di questo mezzo saranno analizzate dagli autori di Festivaletteratura.


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È la terza volta che Jhumpa Lahiri viene a Festivaletteratura, ma è la prima in cui presenta un suo libro scritto in italiano, il romanzo Dove mi trovo. Anche durante l’incontro con Marcello Fois l'autrice parla solo italiano: nata a Londra in una famiglia indiana e cresciuta negli Stati Uniti, non si è mai sentita né madrelingua inglese – la lingua della sua formazione, con cui ha vinto il Pulitzer del 2000 – né bengalese come i suoi genitori; si è invece sempre sentita molto vicina all’italiano, una lingua solo apparentemente distante, ma tanto potente da farla trasferire in Italia, compiendo un vero e proprio «salto linguistico» e scegliendo di adottare l'italiano come la lingua di scrittura.

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Il suo primo tentativo di esprimersi in italiano – la sua madrelingua “per passione” – è stato il libro In altre parole, nel quale Jhumpa Lahiri racconta la storia del suo «innamoramento linguistico» (a suo parere un amore non corrisposto). Il contesto in cui è nato Dove mi trovo, invece, è diverso: la scrittrice doveva lasciare Roma e tornare negli Stati Uniti per insegnare a Princeton. «Questo libro è nato in movimento» spiega l'autrice, aggiungendo che la lingua del romanzo doveva cambiare rispetto a quelle precedenti proprio per raccontare efficacemente la storia di una donna che vive il ritmo della città che abita tra incontri, riflessioni, e le piccole tragedie delle relazioni umane.

Jhumpa Lahiri ha scritto Dove mi trovo a mano, stendendo le prime bozze quando era a Roma e proseguendo soltanto quando tornava in Italia per le vacanze. Alcuni anni dopo, questi frammenti sparsi si sono trasformati in un'opera compiuta grazie ai consigli di amici, editori e scrittori. Tra questi anche Domenico Starnone, di cui Jhumpa Lahiri traduceva i libri mentre stava lavorando sul proprio romanzo, motivo per cui la "scrittura starnoniana" è diventata anch'essa parte del suo stile.

«Il mio rapporto con l’italiano mi permette di eliminare il superfluo e di rendere i pensieri più sciolti» afferma la scrittrice. Il suo italiano è puro e fragile, ma contemporaneamente leggero e raffinato. Dopo aver letto un estratto dal libro, Marcello Fois ha sottolineato la ricchezza della lingua di Lahiri, che si nutre anche di opere che a molti italiani sembrano ormai antiche, se non addirittura obsolete (non a caso è un’appassionata lettrice dei Promessi sposi a cui è dedicato anche l’ultimo libro di Marcello Fois Renzo, Lucia e io). Jhumpa Lahiri, secondo Fois, «non ha paura delle parole» e questo è il suo contributo di civiltà alla cultura italiana.

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Eppure, lei ancora non sa precisamente chi sia: se una scrittrice italiana, americana o straniera («Noi tifiamo per italiana!», è intervenuto Fois): il suo modo di vivere è stato sempre in transizione, utilizzando come parole chiave nostalgia, arrivo, viaggio, integrazione o esclusione. È questa la vera posizione dello scrittore secondo Jhumpa Lahiri: né dentro, né fuori dal mondo; «da nessuna parte», come il titolo del penultimo capitolo del romanzo.


Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone:

Evento 21 “Traduttore traditore” - Evento 91 “Fino a leggermi matto” - Evento 94 “Che fine ha fatto la letteratura?” - Evento 118 “Lettori si diventa” - Evento 125 “Secolo di libri e rivoluzioni” - Evento 157 “Voci dal Novecento” - Evento 165 “Memoir americano” - Evento 182 “Su dei filobus di Leningrado” Evento 200 “Il canto delle sirene” - Evento 204 “La vita (non) è inchiostro su carta”.

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