Salvare le terre per salvare la terra
5 12 2019
Salvare le terre per salvare la terra

Nella Giornata mondiale del suolo promossa dalle Nazioni Unite, riascoltiamo l'intervento della diplomatica Monique Barbut a Festivaletteratura 2015, nell’ambito degli incontri di Consapevolezza Verde


«Entro il 2050 nel nostro pianeta ci saranno 9 miliardi e 700 milioni di persone. Per nutrire queste persone dobbiamo aumentare la nostra produzione alimentare del 75 per cento. Per incrementare la nostra produzione alimentare del 75 per cento, entro quella data abbiamo la necessità di mettere in produzione ogni anno 4 milioni di ettari in più. Attualmente da dove ricaviamo tutta questa terra? In prevalenza dalle zone umide e dalle foreste, il che vuol dire che stiamo aumentando la perdita di biodiversità per sfamare la popolazione mondiale. Allo stesso tempo, sul nostro pianeta, ci sono 2 miliardi di ettari di terre degradate. Per darvi un’idea di quanti siano, parliamo di un territorio superiore alla superficie del Sud America. In passato il problema del degrado delle terre sembrava riguardare solo paesi aridi e molto poveri, principalmente in Africa, mentre oggi 165 paesi del mondo hanno dichiarato di essere colpiti dal problema».

Si apriva con questi dati l’intervento di Monique Barbut a Festivaletteratura 2015. Una fotografia puntuale, sotto molti aspetti spietata, dello stato del consumo di suolo e dell’agricoltura nel nostro pianeta. Da allora molto è accaduto sul fronte della lotta alle crisi climatiche e diverse iniziative civili e istituzionali coinvolgono anche in queste ore milioni di persone in tutto il mondo: dai Fridays For Future al vertice COP25 in corso a Madrid per cercare di rendere operativi gli Accordi di Parigi. Il suolo e il consumo di suolo, nondimeno, sono aspetti che rischiano tuttora di restare al margine di un dibattito cruciale per il futuro della terra; anche per questo motivo sono nate campagne internazionali come il World Soil Day, promosso ogni 5 dicembre dall'ONU per focalizzare l'attenzione dell’opinione pubblica sulla gestione sostenibile delle risorse del suolo.

Già Grammenos Mastrojeni sottolineava nell’intervista alla diplomatica francese – per lungo tempo a capo del GEF (Global Environment Facility) e Segretario Esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla Desertificazione dal 2013 al 2019 – che il nostro approccio al tema del surriscaldamento terrestre si concentra in larga parte sull’approvvigionamento energetico, mentre in una prospettiva di più ampio respiro, la crisi climatica va considerata anche in stretta connessione con l'attività agricola e lo sfruttamento intensivo della terra. Non è un caso che le Nazioni Unite abbiano promosso nel tempo tre importanti convenzioni ambientali: una sul clima, una sulla biodiversità e una sulla desertificazione. Non si può insomma parlare di crisi climatica senza considerare l’insieme di questi campi di realtà, specie se teniamo conto del fatto che il 98 per cento del nostro apporto calorico proviene dalla terra e che la popolazione mondiale è nutrita principalmente da 500 milioni di piccoli agricoltori.

La lotta contro il riscaldamento globale passa quindi attraverso la lotta contro il degrado del suolo e la desertificazione. Di qui l'attualità della testimonianza di Monique Barbut, soprattutto alla luce di piani di interventi dell'ONU per incentivare la restituzione di terreni degradati all'agricoltura e di campagne internazionali di sensibilizzazione come #StopSoilErosion, che frattanto hanno preso sempre più corpo anche grazie al suo apporto. Da un lato, le terre coltivate sono infatti in grado di riassorbire le emissioni di CO2 disperse nell'atmosfera, con l'effetto di mitigare il surriscaldamento in atto del nostro pianeta («recuperare 500 milioni di ettari di terre degradate – spiegava Barbut già nel 2015 – equivarrebbe a sottrarre un terzo dell'anidride carbonica dall’atmosfera»). D'altro canto, la desertificazione è anche il motore di flussi migratori che riguardano (e riguarderanno) sempre più individui e comunità, minando la tenuta sociale di interi paesi e determinando agende politiche che rischiano di non essere all'altezza del futuro. Il recupero delle terre degradate, infatti, nella sua forma può semplice non richiede poderosi investimenti tecnologici ma, principalmente, politiche cooperative, reti di informazioni condivise, risorse umane e lavoro.

(caricamento...)

Festivaletteratura