Se non puoi raccontare storie così, significa che non hai perdonato
11 9 2021
Se non puoi raccontare storie così, significa che non hai perdonato

Fumettibrutti e Teresa Ciabatti: Conservare la propria grazia quando il mondo è crudo

Un elefantino sollevato in volo e portato via dagli uccellini di Cenerentola – questa è una delle immagini più forti emerse durante l’incontro fra Fumettibrutti e Teresa Ciabatti, intitolato La cruda intimità di una linea di matita. È l’immagine che nel terzo libro di Fumettibrutti, Anestesia, esprime in forma simbolica il momento più importante e doloroso, quello dell’operazione.

La presentazione di Teresa Ciabatti è subito tanto entusiastica quanto esaustiva. L’autrice ripercorre la strada che ha condotto Josephine “Yole” Signorelli dai fumetti caricati sul web alla pubblicazione del primo libro (Romanzo esplicito), di quanto facilmente le ragazzine si identificassero in quelle storie di adolescenza, sesso e droga. D’altronde, come dirà poi la fumettista stessa, «se dopo tutto questo tempo parliamo ancora di ragazzini che fanno sesso e si drogano, vuol dire che intanto voi vi siete voltati dall’altra parte». Il problema, continua Ciabatti, si è posto col secondo libro (P. La mia adolescenza trans) e con il coming out come persona transgender; o meglio, il problema si poneva agli occhi degli “adulti”, perché le suddette ragazzine, alla prova dei fatti, non hanno avuto alcun problema nel continuare a identificarsi con la protagonista – esattamente come una ragazza trans non ha problemi a identificarsi con le donne cisgender che vede nei media.

Dal racconto del coming out – che, dice Fumettibrutti, «rifarebbe cento volte» – si aprono le molteplici riflessioni della fumettista. Come lei stessa afferma, quando parla agli eventi, così come quando disegna, è presa da un flusso di pensieri incontrollabile: e infatti sono innumerevoli gli argomenti toccati, le questioni aperte, gli excursus. Dall’esperienza con la pubblicazione all’umanità inattesa dei night club, dalle sorti del suo cane (rimasto, purtroppo, con l’ex) agli abusi su minori, dalla pansessualità a Uomini e donne, ai ricordi dell’asilo: nessun argomento è troppo crudo, nessuno troppo frivolo. Ma i messaggi che emergono sono chiari e profondi: «ero senza soldi, e quando non hai soldi il mondo è molto più stretto»; o «se non puoi raccontare storie così, significa che non hai perdonato»; ma, soprattutto, «racconto queste storie perché, un giorno, una ragazza che in sala operatoria viene insultata dall’anestesista abbia il coraggio di alzarsi e andare via».

La cifra di Yole Signorelli è non nascondere la realtà, neppure quando è molto dura; ma Ciabatti tiene molto a sottolineare quanto in Fumettibrutti ci sia di allegria e di grazia. Questo è importante anche perché contraddice la narrazione dominante del corpo trans come corpo necessariamente e unicamente sofferente: la fumettista tiene a sottolineare come gli anni della sua formazione siano stati, malgrado tutto, anni in cui si è divertita, è cresciuta e ha vissuto una quotidianità, che è proprio ciò che desidera comunicare.

Sulla grazia che cresce anche nelle situazioni squallide, Ciabatti sottolinea alcuni dati: per esempio, la presenza di riferimenti all’immaginario disneyano, a partire dagli uccellini di Cenerentola che portano via l’elefantino. Ma anche la scena in cui la protagonista, mentre lavora in un night club per pagarsi gli studi, guarda il parquet e si rende conto che è lo stesso parquet del suo asilo. A questo proposito racconta anche un aneddoto: una volta ha chiesto alla fumettista perché si sia affrettata tanto con le operazioni; lei ha risposto: «Sono cresciuta con Sailor Moon che si trasformava con un colpo di bacchetta

Con lo stesso candore, quando una domanda dal pubblico la conduce a parlare di disegno in modo preciso, Yole Signorelli discute con la ragazza di metodi, dell’Accademia di Bologna, insomma di tutti gli aspetti tecnici; e sa, col senno di poi, che il suo monocromatico è utilissimo sui social, perché attrae lo sguardo e insieme è riconoscibile. Ma non è per questo che l’ha scelto. L’idea è nata per caso: «un giovedì mattina ero in doposbronza, non avevo voglia di colorare, ho fatto “riempi secchiello” su Photoshop, fatto, sono tornata a dormire».

Perché dover finire necessariamente di giovedì mattina? Non per una consegna imposta dall’esterno, ma perché era quello il senso che si era data, in quel periodo, per sopravvivere. Poi le cose sono migliorate; ma ancora durante la stesura di Anestesia molte volte si alzava la mattina «cercando il senso». «Ogni mattina si cerca il compromesso: mi alzo o non mi alzo? E credo che questa sia una cosa in cui tutti si possono riconoscere».

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