Solo è il coraggio
10 9 2022
Solo è il coraggio

Roberto Saviano racconta Giovanni Falcone

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Quattro anni e mezzo di ricerca e scrittura. Un lavoro sentito e complesso che esce a trent’anni dalla morte di Giovanni Falcone. Perché esiste un’importanza anche nella ricorrenza, che non scade mai nella retorica. Questo, e molto altro, è il libro di Roberto Saviano su Giovanni Falcone.

Partiamo da una foto, da Falcone che si affaccia da una finestra e apre gli scuri per fare entrare luce e aria nella stanza. È felice, sorride, un uomo che ama la vita, lontano dal dramma di Capaci. Ma anche una persona che dice «non si mettono al mondo orfani». Esiste un contrasto tra la voglia di vita e alcune cupe premonizioni. E Saviano riesce a raccontarci tutto questo, non l’eroe quindi ma un uomo con le sue contraddizioni, le sue forze e le sue debolezze. La forma del romanzo ci consente di descrivere Falcone in questo modo e la forza del libro è questa. Il racconto ci porta all’interno della sua vita, siamo con lui nei suoi uffici, quando parla con i colleghi, quando è a pranzo con gli amici o nelle sue notti insonni. Durante la sua vita a Palermo, a Roma o a Trapani. La paura che ha è una paura necessaria, con la quale occorre convivere per proseguire sulla strada che si è scelta. Ci sono ovviamente anche i fatti storici, tutti documentati, come un vero libro di storia contemporanea. Ma è il legame che si è creato con questi personaggi che è importante. Noi non raccoglieremo il testimone di questi eroi, non ne abbiamo la capacità e forse anche la forza, ma possiamo contribuire perché il «loro sangue versato non si secchi mai».

Da qualche parte c’è la possibilità di cambiare le cose, abbiamo la speranza di fare una scelta, di trasformare il nostro paese. E poi possiamo stare vicino ad una persona sola, sconfitta. Che viene bocciata all’antimafia (che aveva inventato lui) o al CSM. Che viene superato da persone non adatte e non preparate. Nessuno racconterà mai queste sconfitte durante le commemorazioni. E nessuno parlerà del tema della mafia durante la campagna elettorale. Giustamente. Se per anni hai fatto di tutto per evitare la discussione, per far entrare nell’oblio il sistema, non si può cominciare adesso. “Cosa nostra” non esisteva neppure come parola prima delle sue inchieste. Fu Tommaso Buscetta a dirglielo. Falcone voleva andare nel profondo, voleva entrare nella mentalità dei mafiosi, nel loro modo di pensare. Per capirli fino in fondo, per capire anche dai loro comportamenti chi fossero veramente. Se si muovono lentamente sono sicuramente dei capi, chi si muove a scatti appartiene alla manovalanza. Perché c’è una selezione anche nelle associazioni criminali. Molto diversa da quella delle istituzioni. Molto spesso le istituzioni mettono a capo chi è facilmente manovrabile. L’associazione criminale invece “investe sui giovani”, mette uomini competenti al vertice. Il pool antimafia ha dovuto studiare molto per capire questi meccanismi. La mafia già esisteva cento anni prima dell’unità d’Italia. Ha attraversato epoche e regimi. Perché i poteri si possono sempre pagare. Buscetta contribuì a offrire la chiave per vedere tutto questo. Ed ora anche noi abbiamo la possibilità di capire.

La politica sbaglia a delegare tutto alla magistratura. Occorre anche un’idea politica di antimafia, scelte politiche che vadano contro gli interessi delle cosche. Puoi essere come vuoi a livello politico, ma la battaglia è una sola. Non basta avere la fedina penale pulita. Occorre agire. Loro andavano avanti in nome delle vite sacrificate dei colleghi e degli amici, praticamente un obbligo. Dovevano avere fiducia in quello che facevano per commemorare ogni giorno i propri caduti. Chinnici che difende Falcone e lo sprona ad andare avanti, mostrando la sedia vuota di Terranova. Chinnici che poi verrà anche lui ucciso. Si voleva iniziare a portare queste idee a scuola, a insegnare che si può cambiare. Parlare di droga, un altro argomento di cui non si parla mai. Perché droga è economia. Li accusavano di non amare la propria terra, di denigrarla continuando a parlare di queste cose. Invece solo se ami la tua terra puoi curarla, e chi parla di questi temi ama molto la propria terra. In nome della bellezza di questo paese. Nascondere è tossico. La potenza della bellezza invece ti colpisce, e la vuoi condividere, vuoi che intorno a te ne godano tutti quanti. Ti spinge a un atto solidale. Altrimenti c’è solo la calunnia.

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Dopo la morte di Chinnici qualcuno festeggia. Al TG di due giorni dopo la notizia non c’è più. L’attenzione non c’era e non ci sarà. Solo dopo Capaci, ma perché la gente aveva iniziato a cambiare. Il maxi processo fu la vittoria più grande perché dimostrava che c’era un’organizzazione. Ma morirono in tanti, prima gli amici e poi i nemici. E il processo perse forza sia in secondo che in terzo grado. Ma rimase il coraggio. Perché il coraggio si sceglie, il coraggio è una scelta che arriva quando ascoltiamo la parte più profonda di noi, quando scegliamo la strada più difficile perché quella più facile va contro quello in cui crediamo. Siamo sicuramente imperfetti, deboli e fragili. Ma il coraggio si misura solo su noi stessi. Il coraggio di scegliere da che parte stare. Dall’ultima pagina del romanzo di Saviano: Francesca Morvillo che in ospedale domanda «Dov’è Giovanni?» e Paolo Borsellino che rimane solo. Perché solo è il coraggio.

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