Storia di una migrazione
10 9 2017
Storia di una migrazione

Il Vietnam e il Canada di Kim Thúy

Nelle piazze del Festival si raccolgono le storie di chi ha perduto la propria terra. Chi ha dovuto allontanarsi dai terreni di conflitto o da un regime oppressivo, trova qui uno spazio per raccontare la propria condizione. Come K. Thùy, M. Thien, T. Aw, J.E. Agualusa, E. Kurniawan, F. Bayrakdar, H. Parker: sono queste alcune delle voci internazionali del Festival.


Per comprendere il legame tra Kim Thúy e la protagonista femminile del suo nuovo romanzo Il mio Vietnam (Nottetempo, 2017) è sufficiente un dato: per un’ora, al Seminario Vescovile, l’autrice ha intrattenuto Marcello Fois e il suo pubblico con la sorprendente storia della sua vita. Senza che per questo sia stato trascurato il romanzo, perché la storia di Vi è anche, in parte, la storia di Kim.

«Voi vedete questa donna a fianco a me: un migrante è fatto così», esordisce Fois. Il cortocircuito tra la rappresentazione mediatica di ciò che oggi si definisce «migrante» e l’immagine della sorridente ed esuberante Kim Thúy è fulminante, ed è sul filo di questo stupore che si sviluppa l’intero incontro. L'autrice ha lasciato il Vietnam da bambina quando il mondo non lasciava altro che una scelta a intere generazioni: dove morire, se in guerra o in mare nel tentativo di emigrare. Inevitabile allora, di fronte a una tale sentenza, pensare all’attualità: «Quando ci si chiede “Perché si ostinano a emigrare, nonostante tutto?” io ricordo che non avevamo paura perché eravamo già morti».

Dalle barche si passa ai campi profughi, dove per il cibo somministrato si prova gratitudine ma a costo di far morire, ogni volta che lo si accetta, un po’ della propria dignità. La condizione di apolidìa e di non-appartenenza si scioglie grazie all’accoglienza di un paese, il Canada, che a differenza di altri ha deciso di considerare i migranti come una risorsa e una parte integrante invece che come invasori. «C’è bisogno di migranti», dice Thúy, «perché sono come specchi che servono a mostrarvi quanta fortuna si ha di poter vivere in un paese normale». È grazie a loro, infatti, che capiamo quanta e quante libertà consideriamo scontate e per le quali sarebbe ora di ricominciare a combattere. Il mio Vietnam serve anche a rendere loro giustizia: «Volevo condividere con voi i ritratti di tante persone che ho avuto la fortuna di incontrare». Veri eroi del quotidiano che Thúy ha voluto emancipare da quella massa – a volte mistificante – che chiamiamo «migranti».



Per chi vuole approfondire il percorso, Festivaletteratura propone gli eventi 13 LA LIBERTÀ CHE È IN NOI PIÙ FORTE - 36 OLTRE IL CONFINE LA PIOGGIA NON CAMBIA -129 NOMADISMO LETTERARIO - 137 NIENT’ALTRO CHE PROIETTILI E DOLORE - 141 IL MIO PASSATO, UNA SCHEGGIA SOTTO PELLE - 174 LETTERATURA D’ESILIO - 225 SE LO INCONTRI GRAN PAURA FA

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