Svetlana Aleksievič e Vladimir Putin
9 10 2015
Svetlana Aleksievič e Vladimir Putin

di Gian Piero Piretto

È stato in primavera, quando Alessandro Della Casa per conto del Festivaletteratura di Mantova mi scrisse per propormi di intervistare Svetlana Aleksievič, che sentii parlare per la prima volta di una sua ipotetica designazione al premio Nobel. Non esistono candidature in quel settore, ma la voce continuò a circolare anche in settembre, durante le giornate del Festival.

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La notte precedente l’incontro, Homo Sovieticus era stato il titolo scelto per l’evento, fu per me molto agitata. La lettura sistematica di Tempo di seconda mano su cui avevo deciso di concentrami, le molteplici pagine di appunti presi per registrare possibili domande, mi avevano portato a identificare una troppo ricca serie di argomenti, problematiche, ambiti di irrinunciabile interesse. Il timore era di non essere all’altezza, di non riuscire a concentrare nel tempo a disposizione la varietà di discorsi che si sarebbero potuti intessere con un compendio di storia culturale, sociale e politica come quello a cui mi trovavo di fronte. A questo si aggiungeva un’ulteriore inquietudine: che l’incontro con l’essere umano Svetlana non corrispondesse alle aspettative che mi ero fatto leggendo la Svetlana autrice.

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Bastarono pochi secondi per fugare queste ultime paure. Scese da un taxi, accompagnata dall’interprete Nicola Nobili, di fronte alla Basilica Palatina già completamente gremita. Le andai incontro e mi presentai salutandola in russo. Pochi istanti dopo già si dialogava con piacevole rilassatezza e intesa. Teneva sul capo l’ampio collo sciallato della maglia che indossava. Aveva freddo, nonostante la giornata fosse più che tiepida, e paventava l’umidità dell’antica chiesa. Semplice, direi addirittura modesta, senza arie di sorta né spocchie intellettuali o divistiche.

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