​Tornare alla terra per salvare il pianeta
10 9 2015
​Tornare alla terra per salvare il pianeta

La desertificazione spiegata da Monique Barbut

Siamo nel XXI secolo, le nuove tecnologie e i nuovi sistemi di produzione fanno ormai parlare di una terza rivoluzione industriale in atto. In che consiste l'attualità e l'importanza del tema delle terre coltivabili? Monique Barbut, Segretaria Esecutiva della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Desertificazione (UNCCD) ne discute insieme a Grammenos Mastrojeni, esperto di cambiamenti climatici e autore de L'arca di Noè. Mastrojeni ammette apertamente che Monique Barbut gli ha fornito un punto di vista del tutto nuovo sul problema del surriscaldamento terrestre, che solitamente viene associato a quello dell'approvvigionamento energetico mentre in questa prospettiva è visto in stretta connessione con l'attività agricola. Barbut, per evidenziare l'importanza tuttora attuale della terra nella nostra sussistenza, ricorda che il 98% delle calorie che assumiamo vengono dalla terra e che, secondo le proiezioni, la popolazione mondiale raggiungerà i 7 miliardi di persone entro il 2050. Questo significa che dovremo aumentare la nostra produzione alimentare del 75% per riuscire a nutrire il pianeta.

Attualmente si tende ad aumentare la produzione agricola sottraendo terreno a foreste e paludi e creando quindi un danno alla biodiversità del nostro pianeta. Allo stesso tempo, le tecniche agricole utilizzate provocano un progressivo degrado dei terreni messi a coltura: è stato calcolato infatti che ogni anno 2 miliardi di ettari di terra (un'area pari all'estensione dell'intero Sud America) subisce questo processo di impoverimento, un fenomeno che interessa 165 Paesi al mondo e che provoca vaste conseguenze a livello climatico e geopolitico.

Da un lato le terre coltivate generano un fenomeno di riassorbimento delle emissioni di CO2 disperse nell'atmosfera, con l'effetto di mitigare il surriscaldamento in atto del nostro pianeta. Spiega Monique Barbut che recuperare 500 milioni di terre degradate equivarrebbe a sottrarre un terzo dell'anidride carbonica dall'atmosfera. Per questo l'ONU, che porta avanti un programma di intervento che mira a limitare il surriscaldamento terrestre a una media di 2°C (contro i 3,5°/4° previsti entro fine secolo), sta cercando di ottenere accordi con i diversi Paesi per recuperare terreni coltivabili.

Dall'altro lato, la desertificazione è strettamente legata ai flussi migratori delle popolazioni, che negli ultimi anni stanno raggiungendo dimensioni dirompenti. Il 100% dei migranti che arrivano nei Paesi europei provengono da zone aride: una delle molle principali dei loro spostamenti è rappresentata dalla scarsità di risorse nei Paesi di provenienza. La Siria, ma anche la Nigeria, da cui provengono la maggior parte degli immigrati che arrivano in Italia, sono Paesi che versano in gravi condizioni di siccità, a cui spesso si aggiungono tensioni interne dovute agli spostamenti della popolazione alla ricerca di nuove risorse per sopravvivere. Monique Barbut sottolinea che sarebbe molto più economico far fronte al problema dell'immigrazione investendo nel recupero della terra nei paesi in difficoltà, piuttosto che seguire le attuali politiche basate sui campi profughi (come in Italia) oppure sulle forze militari (come fa la Franci in Mali). Il recupero delle terre degradate infatti, nonostante si possa portare avanti con molti sistemi, nella sua forma può semplice non richiede investimenti tecnologici ma solo risorse umane e lavoro.

Il piano ONU di intervento è basato sul concetto di Land Degradation Neutrality (LDN): ogni paese dovrebbe, per ogni ettaro di terreno degradato ogni anno, restituirne uno all'agricoltura. Per raggiungere questo obbiettivo, l'ONU ha bisogno della collaborazione dei governi e delle amministrazioni pubbliche e per questo ha avviato una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Nell’anno di Expo, di cui Monique Barbut è stata ospite il 17 giugno scorso, il tema sembra di estrema urgenza e attualità.

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