Tra storture della realtà e insidie distopiche
12 9 2021
Tra storture della realtà e insidie distopiche

Tullio Avoledo e il suo "Furland"

Un tratto della prospettiva dell’eclettico scrittore Tullio Avoledo si percepisce con immediatezza sin dagli esordi dell’incontro che si tiene nel cortile della Biblioteca Gino Baratta. Alla base dei suoi sforzi letterari, anche quando questi lo conducono nei terreni della fantascienza e della distopia, vi è uno sguardo venato di passione civica e ben piantato sulla disinformazione, sulle disuguaglianze, sulle miopie del tempo presente in cui viviamo.

Nel corso di oltre un’ora e mezza di conversazione con un pubblico contenuto, ma attento e partecipe, Avoledo si mostra quindi assai disposto a prendere posizioni e schietto nell’illustrarle, commentando con garbata ma amara ironia le storture dell’epoca contemporanea. L’evento, che trae origine da una visione d’insieme delle fonti letterarie d’ispirazione per il suo recente romanzo distopico Furland®, è dunque punteggiato da considerazioni sulla realtà sociale e politica.

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Così, il romanzo Rumore bianco di Don DeLillo, la cui vicenda rimanda al terrore della morte e all’ossessiva tendenza ad una medicalizzazione, esemplifica al tempo stesso l’incontrollabile ammasso di informazioni in cui siamo immersi, che oscura alla nostra vista molto più di quanto possiamo afferrare. La penultima verità di Philip K. Dick delinea una realtà in cui gli umani vivono in formicai sotterranei nella convinzione che su una superficie terrestre devastata le armate robotiche di due superpotenze si combattano fra loro, mentre la reale situazione, celata da falsi documentari e manipolazioni, è ormai ben diversa. Quel rumore bianco, talvolta, ha in realtà una voce.

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Ancora, il saggio L'IBM e l'Olocausto dello storico e giornalista Edwin Black, pubblicato nel 2001, offre un quadro a tinte fosche della collaborazione tra il regime di Hitler e la multinazionale statunitense, responsabile di avere avuto parte attiva nel censimento del 1933 e nell’identificazione degli ebrei con le proprie macchine e le proprie schede perforate. Sulla stessa scia, Nazismo e management dello storico francese Johann Chapoutot, un’illustrazione del ruolo giocato da un alto ufficiale delle SS come affermato formatore di manager nella Germania Ovest del secondo dopoguerra.

Infine, Retrotopia del sociologo Zygmunt Bauman: la diagnosi di una strisciante rinuncia all’utopia, di una ritirata delle opinioni pubbliche verso un passato mitizzato. Di una malattia, insomma, passibile di ridurre il futuro a luogo di incubi, di guerre hobbesiane fra tribù ancorate alle proprie differenti e inconciliabili versioni di un perfetto tempo passato.

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Eppure, non si può e non si deve rinunciare all’idea di un futuro che si rimane pur sempre chiamati a costruire attivamente. Sul piano dell’informazione, «non accontentandosi del prodotto finito» e sforzandosi di ricercare verità e chiarezza, o per lo meno «una disinformazione un po’ più informata». Sul piano della scrittura, utilizzando le armi dell’autore di narrativa per fare i conti con quelle miserie della realtà circostante di fronte a cui non si può che provare fastidio e sdegno.

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