La poesia è intraducibile. Vero o falso?
Dryden nel ‘600 scrive che ci sono tre modi di tradurre la poesia: letteralmente, attraverso una parafrasi che conservi il senso oppure per imitazione, operando deliberatamente delle variazioni. È in questo terzo modo che Luciano Mazziotta si appropria della poesia di Rilke in Sonetti e Specchi ad Orfeo (Valigie Rosse, 2023): con una traduzione fedele dei primi versi fino ad arrivare ad un finale sconvolgente e completamente diverso da quello di partenza «anche se non sono originale, nessuno è originale». Mazziotta si confronta con un Rilke che a volte è addirittura stucchevole, melenso fino ad essere disgustoso, i cui sonetti vengono riflessi in specchi di prosa ritmata (a fronte) che fanno da commento ma che altro non sono che altre poesie, un altro modo di dialogare con l’autore e di metterlo (e mettersi) in discussione.
Bianca Tarozzi, grande traduttrice e grande poetessa (e forse è proprio questo il segreto) racconta che «tradurre la prosa è una galera, tradurre la poesia è una gioia, fa bene allo spirito, dà sollievo» proprio perché dà spazio alla creatività di chi traduce, permette la libertà di un dialogo tra autore e traduttore.
È un incontro, questo, in cui si ripresenta la morte con una certa insistenza, anche se non in un’ottica lugubre o inquietante, tutt’altro: «la funzione della poesia è parlare con i morti». C’è chi lo fa letteralmente attraverso sedute spiritiche come James Merrill; chi lo fa attraverso un’altra persona come Rilke; chi come Eliot sostiene che «i morti sono ciò che conosciamo» e «non sono affatto morti, non nella poesia»; chi come Emily Dickinson la morte la brama, ma sceglie anche di celebrare la vita; chi sceglie una poesia che racconti storie perché, come affermato da Tarozzi, «se racconti storie puoi fare dello humor mentre l’astrazione uccide il sentimento, e io non voglio mica morire disperata!».
Ma anche «tradurre i morti è più facile che tradurre i vivi, perché i morti non si possono lamentare».
E quando nessuno si può lamentare, la poesia diventa un gioco in cui vale tutto, in cui ci si può allontanare tanto dal seminato, perché alla fine chi traduce cerca sempre un modo di comunicare, tanto con i lettori quanto con i poeti. Tanto con i vivi, quanto con i morti.