Tuffarsi dall'alto nei romanzi di Jonathan Lee
8 9 2017
Tuffarsi dall'alto nei romanzi di Jonathan Lee

L'acclamato scrittore britannico presenta "Il tuffo"

Mai la questione europea è stata così presente al Festival: sono molti autori ad esaminare in controluce i problemi di ieri e di oggi


Inghilterra, 12 ottobre 1984.

L’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) fa esplodere una bomba al Grand Hotel di Brighton, dove è in corso il congresso del Partito Conservatore Britannico. Muoiono cinque persone e la stessa Margaret Thatcher - allora Primo Ministro - rischia di restare gravemente ferita.

Finisce così il romanzo High Dive di Jonathan Lee (in Italia Il tuffo, edito da Sur). Niente spoiler: nell’incontro di presentazione del romanzo con il giornalista Stefano Salis a Festivaletteratura è proprio lo scrittore britannico a raccontare questo episodio per introdurre il libro.

«Questo romanzo è nato nel 2005, dopo gli attentati di Londra, dove vivevo al tempo - racconta Lee - e da una riflessione: perché quando si vuole raccontare una tragedia, che sia un disastro ambientale o un attentato terroristico, si parla sempre solo di quello che viene dopo? Non sarebbe meglio interrogarsi su quello che c’era prima, sul perché certe cose succedano?».

High Dive in inglese significa tuffo dall’alto, un’immagine che descrive esattamente il ritmo e il senso di questo romanzo: Lee ci racconta un dramma prima che questo si consumi, in tutto l’arco precedente all’impatto finale.

«Il titolo nasce anche dalla mia ossessione per la caduta e da un racconto che mi fece una persona che era in quell’hotel la notte dell’esplosione: quest’uomo fu svegliato di soprassalto dal boato, mentre con il suo letto precipitava nel vuoto, il buco creato dalla bomba nel pavimento» dice Lee.

Un tuffo nel vuoto che è anche metafora della vita dei personaggi del romanzo, vite piccole, insignificanti, chiuse sulle proprie preoccupazioni banali e sui propri orizzonti ristretti: c’è Moose, vicedirettore dell’hotel in trepidante attesa di una promozione; c’è Dan, militante dell’IRA responsabile dell’attentato, cresciuto negli ambienti indipendentisti di Belfast. E poi c’è Freya, la figlia adolescente di Moose, receptionist per la stagione estiva, indecisa su cosa fare della propria vita dopo il liceo.

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«Freya è il personaggio più emblematico per capire quello che volevo raccontare - spiega l’autore - Quando ero giovane e facevo dei lavoretti estivi non vedevo l’ora che finissero perché ero divorato dalla noia. Vivevo nell’attesa che accadesse qualcosa, anche qualcosa di brutto, pur di vincere questo tedio. E questo è proprio quello che vive Freya, quello che viviamo noi nella nostra vita quotidiana quando ci concentriamo troppo su noi stessi».

Paragonato a Muriel Spark e Martin Amis, considerato dalla critica una delle voci più promettenti della letteratura anglosassone e consacrato dal pubblico internazionale con la traduzione in diverse lingue di questo romanzo (che è il suo terzo, i primi non sono tradotti in Italiano e si intitolano Who is Mr. Satoshi? e Joy), Jonathan Lee non ritiene la sua un’opera politica: «Tutti i romanzi sono a loro modo politici - conclude - ma a me piacciono le storie specifiche, le vite individuali».

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