Tutto quello che credi sul cibo (non è vero)
9 9 2022
Tutto quello che credi sul cibo (non è vero)

Grandi e Ciconte discutono del futuro della filiera alimentare tra bolle comunicative e ottimismo nel progresso

Come arrivano uno storico e un ambientalista a parlare di filiera alimentare? È da questa domanda che dà avvio al dibattito tra il professore Alberto Grandi e lo scrittore Fabio Ciconte, svoltosi nella Cappella di Palazzo del Mago. Le risposte girano attorno un punto comune: la necessità di analizzare la complessità. Nei suoi anni di ricerca Grandi si è «stufato delle narrazioni secondo cui i nostri prodotti sono i più sani e che la dieta mediterranea ce la siamo inventata noi - che non è vero». Pervaso da una furia che egli stesso definisce iconoclasta, Grandi si è messo a smontare le storie, i miti sul cibo. Ma dove il suo interesse nasce da una curiosità accademica, gli studi dello scrittore Ciconte muovono i primi passi dal mondo dell’attivismo, dal bisogno di conoscere approfonditamente la filiera per poter consigliare e far muovere le amministrazioni verso realtà più sostenibili.

Ma quando si parla di cibo lo studiare, l’analizzare, molto spesso significa prima di tutto smascherare quelle che chiama Ciconte «bolle comunicative», prima tra tutte quelle del chilometro zero. «Io sono contro il km0, contro la filiera corta, contro i talebani» afferma deciso Grandi. Idea condivisa da Ciconte, che suggerisce al grande pubblico di passare dalla denominazione "km0" a quella di "km giusto". «Con il km0 bisogna capire da dove far partire il km. Dal prodotto finito? Dalla materia prima? Utilizzando un parametro o l’altro il discorso cambia molto», spiega infatti l’ambientalista. «Si dovrebbe pensare a prodotti che più che a km0 sono a km giusto; non è detto che i prodotti che sono a noi più vicini siano per forza quelli meno impattanti», continua Ciconte.

(caricamento...)

La seconda bolla mediatica riguarda noi consumatori. «L’idea che i consumatori possono fare qualcosa è la più grande presa in giro degli ultimi 50 anni», afferma Ciconte. Basta guardare alle notizie recenti per capire immediatamente di cosa si sta parlando: con l’aumento dell’elettricità molti, incluso lo scienziato Dario Bressanini, hanno consigliato di cuocere la pasta a fuoco spento. Come se tali azioni potessero impattare in qualche modo un discorso complicato e complesso come il prezzo del gas, il conflitto russo-ucraino e la politica europea. E anche Grande è d’accordo: «non mi piace quando ai consumatori si danno troppe responsabilità», dice infatti il professore, che spiega come i consumatori facciano la spesa prima di tutto in base alle disponibilità economiche e di tempo. «Solo chi ha soldi può permettersi cibo sostenibile, per questo il salario minimo è una questione ecologica», rimarca d'accordo Ciconte.

Perché allora si chiede sempre al consumatore di cambiare le proprie abitudini? La risposta è molto semplice: perché è un modo per sposare la colpa dalle aziende al consumatore. La prova? L’impronta carbonica (carbon footprint, in inglese), modello di calcolo delle emissioni personali, è stato creato dall’azienza British Petroleum per deresponsabilizzarsi nei confronti del cambiamento climatico e far leva sul senso di colpa dei singoli.

(caricamento...)

La filiera è dunque irriformabile? Nonostante i numerosi problemi di questo settore, sia Ciconte che Grandi hanno un certo ottimismo per futuro. Futuro che prevede (anche) la plastica, in quanto «invenzione migliore degli ultimi 100 anni» (Grandi), oltre che il «prodotto che ha reso più democratico l'accesso ad alcuni cibi» (Ciconte). «Quello che bisogna evitare è il marketing del packaging, ma demonizzare il progresso, le scoperte scientifiche non ci porterà da nessuna parte» conclude Ciconte.

Festivaletteratura