Un capitano, c'è solo un capitano!
8 9 2021
Un capitano, c'è solo un capitano!

Franco Baresi si racconta

Proprio come ai vecchi tempi. Autografi. Nell’era dei selfie, tante persone attorno a Franco Baresi per chiedere un autografo. Un campione che ha accompagnato il calcio artigianale degli autografi fino a farlo arrivare alle soglie di quello tecnologico e iper atletico che conosciamo, dagli anni 70/80 fino all’alba del 2000. Perché di una lunga storia si tratta, di una bellissima storia che Federico Buffa ci racconta insieme al protagonista delle vittorie rossonere di una stagione fa. Una storia, una vita che vuole essere di ispirazione, di ispirazione per chi gioca o anche solo per chi vive la propria esistenza dei tutti i giorni. Ed inizia dalla fine, dalla finale di coppa del mondo di Pasadena del 1994.

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Come è possibile recuperare in venti giorni da un infortunio, giocare l’ultima partita a mezzogiorno con 40 gradi, giocare benissimo, sbagliare un rigore e poi piangere? Mai aveva pianto Baresi, mai aveva ceduto all’emozione o aveva espresso così clamorosamente i propri sentimenti. Forse perché era stato abituato così, a non mostrare debolezza. Ma infatti quel pianto non mostrava debolezza, il campione ormai era talmente forte che poteva finalmente abbandonarsi. Tutto si è concentrato in quel momento. A partire dai valori forti trasmessi dalla famiglia fin dall’infanzia passata nel casale di Travagliato. Solidarietà, spirito di sacrificio, lavoro, comunità. E la visione dello spazio, dell’orizzonte che circonda indisturbato il casale. Capire il gioco prima degli altri, vedere lo spazio e la sua evoluzione, anticipare per questo le mosse dell’avversario e della squadra. Viene tutto da qui. Perché la felicità viene dalla libertà, dal poter andare all’oratorio del paese a giocare. E proprio grazie al parroco poter giocare contro il Milan ed essere scelto per trasferirsi a Milanello ad allenarsi con le giovanili rossonere. Nel 1978 debutta nell’anno della stella con Liedholm allenatore, a Verona. Con Nereo Rocco che non si accorge nemmeno che ha giocato. E l’importanza di avere Rivera compagno di squadra, un maestro in ogni aspetto, sportivo e umano. Ed è allora, proprio con Rivera, che Baresi impara i movimenti, il gioco, il tocco di palla, il rapporto con i compagni e come essere leader e capitano. La storia infatti prosegue per alti e bassi, dallo scudetto al calcio scommesse, dal ritorno in serie A alla retrocessione e alla malattia. Ma Bearzot crede già in lui e lo convoca per Spagna 82. Diventa campione del mondo, anche se non giocherà mai. E l’anno della serie B la gente andava lo stesso allo stadio, lui era capitano a 22 anni e davvero qualcosa di bellissimo poteva nascere. Baresi è taciturno perché per lui vale solo l’esempio. Come Zoff in nazionale e nella Juve. Spirito di sacrificio, cultura del lavoro. Intenso, reale, mai cattivo. Valori della famiglia, di quella dei genitori prima e di quella costruita con la moglie dopo. Valori fondamentali e fondanti. Al Milan torna Liedholm e anche il gioco a zona, un gioco che valorizza l’attitudine agli spazi del capitano. Mark Hateley, attaccante rossonero di quei tempi, si convince che nessuno può scappare al suo libero. Perché è questione di tempismo, di tempi di gioco. E Baresi è sempre in anticipo su tutti, così come la sua difesa che si muove in sincronia e lo aiuta a difendere. Nasce il Milan di Sacchi dopo una partita di coppa Italia con il Parma. Nessuno conosceva quell’allenatore. Berlusconi fece una scommessa e la vinse.

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Sacchi aveva in mente qualcosa di “non normale”. Voleva emozionare, voleva giocare all’attacco, voleva rivoluzionare. La società e i giocatori alla fine lo seguirono. Sacchi insegna che gli allenamenti devono essere come le partite, eseguiti alla massima potenza, senza risparmiarsi; il calcio deve essere la prima cosa e bisogna pensare sempre in grande, ma non si vince mai da soli; tutti insieme si vince, sempre insieme agli altri. Un’alchimia si crea con i giocatori, con i campioni di quella squadra. Allenamenti maniacali quindi, intensi, svolti con la massima attenzione in tutti i particolari. E alla domenica, in questo modo, non si ha paura di nessuno. Non hanno paura neanche delle situazioni avverse, che infatti alla fine si piegano a questa magia. Il primo anno vengono eliminati in UEFA e il campionato non inizia bene. Poi a Verona (ancora una volta, Verona) Virdis segna il gol della vittoria e tutto cambia. Alla fine aprirono lo stadio solo per salutare i campioni d’Italia, 80000 persone solo per salutare quella squadra.

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L’anno dopo arrivò la nebbia di Belgrado, e anche in questo caso il fato non poteva che aiutare quella squadra di stregoni.

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E il capolavoro nel cinque a zero contro il Real Madrid fu felicità assoluta. Neanche adesso quella squadra avrebbe problemi a giocare. Con una tattica del fuorigioco portata così all’estremo, la difesa recuperò davvero tantissimi palloni quando il guardalinee non sollevava la bandiera. Ritorna il movimento, lo spazio, l’armonia di tutti gli uomini della difesa che si muovevano insieme al capitano. La gioia nasce da questo modo di giocare. Forse è per quello che durante l’incontro in Piazza Castello non si parla del Milan di Capello, quello degli invincibili, che però evidentemente aveva perso la magia e la gioia del gioco. Baresi rimane legato alla “sua” Italia del mondiale del 90, che avrebbe dovuto almeno giocare la finale. E naturalmente a quella del 94. Durante la seconda partita di quei mondiali si fa male. Viene operato subito, rimane nel gruppo, si allena e dopo venti giorni succede l’incredibile. Costacurta è squalificato e Baggio acciaccato. Sacchi chiede al capitano se si sente di giocare. Quel gruppo ha fatto un mondiale straordinario, in condizioni proibitive. Un gruppo solido.

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E Baresi mette semplicemente tutto sé stesso in quella partita. Il suo temperamento, il suo lavoro. Una delle migliori partite da lui mai giocate. E poi arriva il rigore sbagliato e le lacrime. Le lacrime che arrivano anche alla fine dell’incontro con Festivaletteratura. Ancora una volta lacrime non di debolezza ma di forza. Del più forte. Del capitano.


Di seguito il link per rivedere l'incontro:

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Festivaletteratura