Olga Campofreda: Un viaggio nel mondo della scherma tra sport e letteratura
Olga Campofreda, classe 1987, casertana, è oggi una ricercatrice in letteratura italiana contemporanea all’University College di Londra, dopo un dottorato su Pier Vittorio Tondelli, autore di spicco del postmodernismo italiano. Eppure, svestiti i panni dell’accademica, qui Festivaletteratura si è resa protagonista di una lezione letteraria sulla scherma, uno sport che, come ha confessato, ha praticato da sempre, anche da prima di saper scrivere. E chiunque la ascolti non può non trovare quasi commovente l’imperversare lucente della passione che riversa nel raccontare al pubblico la storia e le dinamiche di questo sport.
La scherma è antica quanto la civiltà, perché deriva dalla pratica del duello, già presente nell’Iliade: Paride contro Menelao, Ettore contro Aiace, Ettore contro Achille, e molti altri. Il duello è da sempre servito nella nostra civiltà come pratica per regolare i conti e risolvere questioni personali. A partire dal XV secolo e fino alla prima metà del Novecento i duelli, al primo o all’ultimo sangue, erano diffusissimi dovunque, sebbene non fossero sempre legali e la loro pratica ufficialmente fosse scoraggiata. E curiosamente tra chi sfidava e veniva sfidato più spesso c’erano giornalisti e scrittori: una cattiva parola su un’opera, la pubblicazione di una recensione troppo tranchant potevano facilmente costare una sfida. Se ne trovano anche esempi d’eccezione, come il duello avvenuto nel 1926 tra Giuseppe Ungaretti e lo scrittore surrealista Massimo Bontempelli a causa di reciproche accuse di maldicenza letteraria. Luogo dell’evento: la villa di Luigi Pirandello.
Anche nella letteratura ebbe grande fortuna, in particolare a partire dal primo Ottocento, quando il movimento romantico nordeuropeo si intrise di medievalismo e anche i romanzi iniziarono a riempirsi di scene di duello. Uno degli esempi più noti è lo scrittore scozzese Walter Scott, padre del romanzo storico, noto in Italia soprattutto per Ivanhoe. Scott, appassionato di scherma, dissemina duelli in tutta la sua produzione letteraria, a partire da quello tra Frank e Rashleigh in Rob Roy, il suo romanzo più famoso di ambientazione scozzese, la cui messa in scena si può ammirare nell’omonimo film del 1995 diretto da Michael Caton-Jones.
Con l’aiuto delle ragazze della società sportiva Mantova Scherma, che si sono lanciate in diretta in due tesissimi assalti, di fioretto e di spada, Campofreda è poi passata ad illustrare le principali differenze tra le armi oggi incluse nella disciplina olimpica della scherma. Il fioretto nasce come arma da allenamento; la virtù a esso collegata è la precisione. Infatti, l’unico bersaglio valido è il tronco, dove si trovano gli organi vitali: esercitarsi a colpirli era in passato la miglior pratica per chi desiderasse trionfare nei combattimenti. La sciabola, l’unica in cui sia possibile colpire di taglio oltre che di punta, è un’arma nata in seno ai corpi di cavalleria: oltre che il busto, è bersaglio valido tutto ciò che si trova dalle anche in su, quindi anche braccia e testa. Queste due armi si esercitano all’interno di quella che viene definita “convenzione”, ovvero la regola per cui un colpo risulta valido solo se dato in attacco o in risposta immediata a una parata di un attacco avversario. Infine, la spada, l’arma da duello per eccellenza. Nella spada ogni bersaglio è valido e non c’è la “convenzione”. Per superare il cono di protezione generato dall’arma avversaria, fondamentale è studiare l’avversario, cercare di indurlo in errore affinché ci doni un’opportunità: dunque sì, la fortuna dell’opportunità, ma talento e abilità nel saperli cogliere. Se dunque al fioretto si lega indissolubilmente la precisione, la spada è l’arma della pazienza.
Ne è risultato un viaggio suggestivo, teorico e pratico assieme, attraverso una pratica (ancora prima che uno sport) che da sempre, lungo tutto l’arco della storia umana, è stata capace di affascinare e suggestionare non solo scrittori e poeti, ma la società tutta. Tra gli altri, anche un giovane Carl Marx, che nei suoi anni londinesi, pur, a detta dei testimoni, privo di reale abilità, continuò a dedicarsi alla scherma salvo poi abbandonare la palestra per divergenze politiche con il suo direttore. Perché la scherma, con il suo costringere a leggere l’avversario e trovare sempre soluzioni nuove a ogni assalto, è un potente allenamento di creatività e problem solving che agisce molto al di là della palestra.