Un flusso di coscienze
11 9 2020
Un flusso di coscienze

Sguardi “indigesti” sul mondo

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Damiano e Fabio D’Innocenzo sono poeti fratelli ed esprimono la loro poesia attraverso cinema, fotografia e scrittura. Sono artisti sempre esordienti perché il loro sapere e la loro arte affrontano sempre l’ignoto. Niente viene accumulato e sempre ci sono sempre la paura e l’ebrezza della prima volta. Nello stesso modo il loro incontro nel chiostro del Museo Diocesano insieme alla poetessa Mariangela Gualtieri andrà avanti, un po’ perdendosi ma arrivando alla fine da qualche parte. Il loro ultimo film Favolacce ci conduce fuori dal nostro modo di guardare, ci porta in una dimensione nuova, come se qualcun altro guardasse insieme allo spettatore. Uno sguardo dell’infanzia che abbiamo paura di perdere, fino a sembrare di avere più di 100 anni e meno di 12.

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Uno sguardo a specchio che gli autori hanno sempre avuto essendo gemelli, una dimensione autistica della vita in cui ognuno vede sé stesso nell’altro. Sempre legatissimi. Questa consuetudine all’osservazione li ha poi portati a guardare, a vedere, gli altri esseri umani, come le persone si nascondono, si rivelano, si cercano e spesso sbagliano. Il silenzio, il nulla, la noia sono sentimenti essenziali perché ci costringono ad inventarci un mondo. Il cercare di eliminare la noia dai nostri bambini certamente li fa sentire più protetti ma farà perdere loro troppe possibilità. Perché il nulla è estremamente narrativo e nei loro film si indagano proprio questi momenti, quegli appuntamenti che alla fine vengono dimenticati perché non evidenti. Fortissimo sodalizio fraterno nella solitudine, nell’essere solitari. Perché essere in due salva sempre. E la paura, che ti chiede di aver fiducia, forse è la cosa che più avvicina a Dio. Così anche nello scrivere poesia sono interessati alla possibilità di continuare a fare domande sulla vita. Quasi sempre senza volere dare delle risposte perché non si conosce, cercando di arrivare appunto in un posto che non si sa. E’ il poeta che deve rimanere sorpreso da quello che scrive, non solo il lettore. Il poeta deve uscire inquieto dal foglio. E le poesie non si ritoccano, perché a loro piace che rimangano così, aperte e imprecise, mancanti o sbagliate. Stesso approccio nella fotografia. Alla base sempre lo sguardo di stupore verso il mondo, soprattutto per quello che ai più sfugge. Fotografia come voglia di essere stupiti. Niente zoom, niente mistificazioni, vicinanza con le persone per eseguire un ritratto. Tutta questa produzione poetica poliedrica quindi sempre fissata sul mondo. E questo sguardo, che diventa spesso difficile, complicato grazie al silenzio, al nulla, alla noia, diventa addirittura “indigesto”, a metabolismo lento.

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Perché lo scopo è quello di lasciare le opere in un certo senso incompiute, senza un finale conclusivo. L’importante è aprire domande, far tornare a casa lo spettatore senza certezze in modo da entrare ancora e ancora in quello a cui si è assistito. Una visione partecipata. Un flusso di coscienze.

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