Un furto dall'alto verso il basso
11 9 2021
Un furto dall'alto verso il basso

Elda Danese racconta l'incredibile versatilità della vestaglietta

Elda Danese, docente di Design della moda, ha tenuto una delle quattro Lavagne, sul sagrado di San Lorenzo: e l’oggetto di uso comune di cui ha parlato ci racconta la storia di quello che, nel settore, un clamoroso «furto dall’alto verso il basso». La docente ha infatti ripercorso la storia di come la "vestaglietta" sia diventata, come è stato detto, «from homely to hot»; ma anche della sua straordinaria versatilità. Su questo ha scritto un libro: La vestaglietta. Una storia tra erotismo e moda.

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«Il sottotitolo del libro è stato scelto dall’editore» racconta Danese. «Io non avrei voluto porre l’accento tanto sull’aspetto sensuale di questo indumento, quanto sul suo ruolo di divisa – mascherata – da casa». In effetti, in sé la vestaglietta è un indumento povero: da casa o da campagna, al limite da portare al mare, sopra il costume; da indossare sia come vestito, d’estate, sia sopra i vestiti nei mesi freddi.

Un primo passo verso la valorizzazione della vestaglietta è stato compiuto quando, negli anni ’30, negli Stati Uniti si diffusero le hooverette: così chiamate perché nel periodo della Grande Depressione il presidente Herbert Hoover le aveva distribuite alle donne in difficoltà, sono state poi ripresentate in una versione più leziosa, non più di colore bianco, ma stampata con decorazioni minute e graziose. Le chiamavano «bread and butter», perché si vendevano come il pane.

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Fare ricerca sulle vestagliette crea qualche problema: dato che si tratta di un indumento povero, difficilmente le donne si facevano fotografare indossandole. Danese ha però attinto ai racconti di qualche anziana proprietaria di merceria, che le ha raccontato come fosse consigliato «possederne sette, una per ogni giorno della settimana».

Ma una fonte formidabile in merito sono i film, come La bella di Roma di Comencini (1955) o Ossessione di Visconti (1943). Non è un caso se anche alcuni registi più recenti hanno deciso di omaggiare con dei camei i loro maestri: su tutti Almodóvar in Volver (2006).

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Già nel film di Visconti era evidente che l’abito avesse assunto anche una forte connotazione sensuale; ma solo negli anni ’70 la stilista Diane von Fürstenberg portò la vestaglietta, o wrap dress, allo status di abito elegante, e le regalò un successo straordinario. La chiave è la possibilità di trasformarlo, di regolare la scollatura, di scegliere di stringerlo ai fianchi o in vita, a seconda dei gusti e delle occasioni.

Certo, la vestaglietta si è attirata anche qualche critica. Talvolta proprio per le stesse caratteristiche che ne hanno decretato il successo: non è mancata l’accusa di essere un abito povero dal punto di vista sartoriale, proprio per la sua mancanza di una forma definita. Una vera stroncatura è quella della giornalista Liz Jones (Rip the wrap!). Dalla leggera presa in giro che già Le Corbusier rivolgeva alle sartine che decidevano di indossare una vestaglietta, alle critiche dei tabloid a Kate Middleton.

Quello che è certo, però, è che la vestaglietta non è più l’indumento delle casalinghe: ormai – come nota anche Guia Soncini – le casalinghe ormai stanno in tuta, indossano sportswear. L’osservazione di Danese, però, è che questo dato non è solo una questione di comodità, ma di rifiuto simbolico della condizione di casalinga tout court.

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