Un processo imprevisto
12 9 2021
Un processo imprevisto

Pitzorno e Cirri svelano storie atroci e contemporanei creduloni

Una famiglia sta morendo di peste. La madre, convinta di poter salvare una figlia, la manda dalla vicina. La bambina ha sofferto di febbri cerebrali in passato, non capisce bene, le sembra che i suoi familiari stiano dormendo, è convinta che potrà tornare a casa presto. Invece passerà i dieci anni successivi da sola, a credere di essere l’ultimo essere umano sulla terra: unico compagno, un merlo a cui il padre ha insegnato delle canzoni. La bambina parla col merlo; il merlo comincia a risponderle con la sua voce; la bambina capisce che così perderà l’ultimo ricordo della voce di suo padre e da allora tace anche con lui. Quando è ormai divenuta un’adolescente, strana e solitaria, è inevitabile che scateni le superstizioni dei compaesani: è scambiata per una strega, processata, torturata.

Una storia atroce; eppure – o, forse, a maggior ragione – una storia che prende a piene mani da due fiabe, Pollicino e Cappuccetto Rosso. Così spiega Bianca Pitzorno a Massimo Cirri a proposito di uno dei tre racconti che compongono il suo ultimo libro, Sortilegi (Bompiani 2021). Ma l’autrice spiega anche che una storia come quella di Pollicino, abbandonato dai genitori perché non hanno nulla da dargli da mangiare, è una storia che ha piena rispondenza nella realtà storica: nell’elevatissima mortalità infantile dei tempi, innanzitutto; e nelle innumerevoli difficoltà che si affrontavano e che potevano spingere a scegliere di sacrificare le persone più deboli: «Se due adulti avevano solo una pagnotta poteva farla mangiare al bambino, e sarebbero morti tutti e tre, o mangiarla loro, e almeno loro due sarebbero sopravvissuti».

È incredibile la delicatezza con la quale Pitzorno riesce a ragionare anche su temi così duri, e a scriverne. Quando Cirri le fa notare che non ha descritto quasi per nulla le torture che subisce la ragazza, Pitzorno risponde che è perché ne ha letto fin troppo durante le sue ricerche. «Tra l’altro» osserva «le fonti che abbiamo noi sono le fonti dei “cattivi”; che naturalmente sono convintissimi di essere nel giusto, e anzi credono di star salvando l’anima della ragazza, di star colpendo solo l’essere infernale che è in lei».

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La contestualizzazione storica non risparmia le critiche alla contemporaneità. L’autrice racconta di essere stata sconvolta dal numero di persone – adulte, spesso istruite – che, da quando presenta questo libro, le hanno cominciato a dire che credono fermamente nel malocchio, nelle fatture, eccetera. In Sortilegi, invece, le persone colte sono quelle che capiscono cosa sta succedendo – che la ragazza non è una strega, al massimo potrà essere un’eretica visto che non va in chiesa – ma non fanno assolutamente niente per aiutarla.

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L’evento dovrebbe trasformarsi in un processo, coinvolgere il pubblico: e invece si arriva alla fine e il processo non è neppure iniziato. Poco male: si è svolto un processo di altro tipo, in altra forma, nelle riflessioni dei due autori. In compenso, un bambino chiede dal pubblico se Pitzorno abbia un posto speciale che la ispira. Lei non ha dubbi: il tram, le poste, qualunque luogo sia in mezzo alla gente. Si parte dalle persone. In qualche caso, da persone lontane nel tempo: come in un altro dei tre racconti di Sortilegi, ispirato dal ritrovamento reale di una pezzuola del XVIII secolo con sopra ricamata una maledizione, forse ricamata da una donna furiosa di gelosia.

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