Sperimentazioni tra arte e industria
Gli anni Sessanta a Milano sono centro di grandi sperimentazioni e avventure culturali. Il paradigma cittadino, composto da industrie e cultura, è modello invidiabile e buona scuola per studenti di grafica, architettura e comunicazione. Sono gli anni in cui emergono i primi lavori di Arte Programmata di Enzo Mari e Bruno Munari, ingannevoli e divertenti oggetti che giocano con la percezione degli oggetti e gli sguardi dl pubblico. Anni in cui i fratelli Castiglioni usano il simbolo dell'architettura italiana, la piazza e i suoi portici, e ne traggono un segno, disegnando Arco, la lampada. Alberto Abrasino pubblica i suoi romanzi floridi di citazioni e digressioni metaletterarie.
In questo contesto di spontanee e vivaci sperimentazioni nasce Imago. Una rivista aziendale che, come molte al tempo, aveva la funzione di avvicinare nuovi clienti ai prodotti e servizi offerti; si trattava di un fenomeno molto diffuso, soprattutto tra le case farmaceutiche. In quanto strumento pubblicitario, diventavano spazi di sperimentazione visiva. La loro dimensione grafica, fotografica e in alcuni casi, come per Imago, letteraria proponeva materiale difficilmente paragonabile alla grafica loro contemporanea, che imponeva di seguire i canoni, ormai scaduti, del Liberty e della scuola morrisiana.
La rivista nasce quindi dall'incontro tra Michele Provinciali, uno dei maggiori esponenti della grafica industriale, e Raffaele Bassoli, titolare della Bassoli Fotoincisioni, azienda milanese principe delle fotoriproduzioni. La rivista diventa fin da subito spazio di incontro ed esercizio di sperimentazione mantenendo lo spirito del gioco. «Non è mai esistita una vera e propria redazione» racconta Andrea Bassoli «mio padre e Michele si incontravano a casa nostra o al mare. Ridevano molto.»
Michele Provinciali, oltre ad essere un brillante grafico, era una figura molto propulsiva, che coinvolgeva attori differenti a partecipare attivamente alla realizzazione del materiale da proporre nella rivista. La rivista diventa quindi contenitore con moltissimi prodotti eterogenei. Ognuno dei grafici, degli illustratori non ha l'esigenza di comunicare un messaggio o veicolare un'idea. Come accade per moltissimi esempio del tempo, il progetto è già messaggio. Nessuna ideologia, solo ideali.
«Si crea così una rete di architetti, grafici e designer che costituisce un meccanismo di produzione sorgivo» afferma Giorgio Camuffo, graphic designer, professore associato di comunicazione visiva presso la Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano e curatore del volume Imago 1960-1971 una rivista tra sperimentazione, arte e industria (Corraini Edizioni, 2021), che racconta la nascita della rivista e tutti i suoi dieci anni di vita.
Le radici di questa innovazione sono in gran parte riconducibili alla figura di Provinciali. Un grafico ancora troppo poco conosciuto che ha sostanzialmente contribuito alla creazione del nostro gusto e della nostra sensibilità visiva. La finalità dei suoi progetti stava nel veicolare ed educare le persone al funzionamento degli oggetti. Una didattica che doveva essere stimolata da un processo di fascinazione. «Riusciva a racchiudere la contraddizione tra il moderno che aveva conosciuto al New Bauhaus di Chicago» dice il Mario Piazza architetto e fondatore dello studio 46xy «con un'estetica più intima». Un compito difficilissimo. Si trattava di riassumere la complessità estetica americana con la tradizione italiana e, soprattutto, rendere il risultato comprensibile. Provinciali era convinto ci fosse un modo per raccontare le cose con giuste dosi di modernità, di sorpresa e forza di durare.
Un atlante di immagini, fotografie e interventi, alcuni dei quali composti da importanti figure del panorama culturale italiano come Max Huber, Giancarlo Iliprandi, Bruno Munari, Armando Testa, Pino Tovaglia, Dino Buzzati, Mario Soldati, Umberto Eco e molti altri. Per questa sua natura composita, la rivista si articola in 14 volumi, nonostante il tredicesimo sia assente per scaramanzia, praticamente introvabili. La natura artistica degli interventi ha permesso a molti di separare gli oggetti dai vari fascicoli e apprezzarne il valore singolarmente.
Imago è singola e molteplice, oggetto nell'oggetto e intreccio di racconti, creando così interessanti spazi di riflessione e godimento. Un buon esercizio, per ricominciare a meravigliarsi.