Hisham Matar in conversazione con Paolo Giordano a proposito del suo nuovo romanzo “Amici di una vita”
«Hisham Matar è uno scrittore prezioso e non solo per la sua bravura»
Così lo introduce Paolo Giordano di fronte ad una platea attentissima. Lo scrittore de Il ritorno, memoir pubblicato nel 2017 e con il quale ha vinto il prestigioso Premio Pulitzer, torna a Mantova in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo Amici di una vita (Einaudi, 2024).
Un ritorno alla narrativa molto atteso e che ancora una volta ci porta a compiere un viaggio nel tempo. Nello specifico ci porta a Londra il 17 aprile 1984 quando davanti all’ambasciata libica si radunò un gruppo di studenti – con il volto coperto dal passamontagna per evitare rappresaglie – per manifestare pacificamente contro la dittatura di Muammar Gheddafi. La situazione degenerò quando dall’edificio partirono raffiche di colpi diretta alla strada. La polizia assediò l’edificio. Una decina di manifestanti rimasero feriti e una giovane poliziotta, Yvonne Fletcher, perse la vita. I responsabili furono rimpatriati, insieme alle armi usate durante l’attacco, e il Regno Unito interruppe ogni rapporto ufficiale con la Libia.
Matar aveva 13 anni e viveva in Egitto all’epoca dei fatti ma ne rimase molto colpito. Rimase ancora più colpito quando trasferitosi a Londra per studiare all’università strinse amicizia con un ragazzo molto più grande che solo dopo diversi anni gli confidò di essere stato uno dei feriti di quella stessa manifestazione. Nel romanzo, come sottolinea Giordano, Matar sceglie di adottare un punto di vista peculiare rispetto alla sua stessa esperienza di vita. Cresciuto in una famiglia politicamente molto esposta e in contrasto con il regime, in questo romanzo esplora la scelta di chi resta altrove o preferisce rendersi invisibile per evitare ripercussioni. Perché?
«Quando scrivo voglio creare uno spazio poroso, in grado di assorbire tante sfumature. Sono cresciuto intorno a persone incredibilmente dedite a perseguire delle finalità di ordine morale e politico a prezzo di enormi rischi. Forse proprio per questo fin da quando ero molto giovane mi sono sentito attratto da coloro che reagiscono in modo opposto, i riluttanti».
Ma per parlare di certi fatti, soprattutto quando ci riguardano da vicino, è necessaria una certa distanza emotiva. Una distanza che il tempo può mettere e che aiuta ad allentare la tensione su scelte difficili. E proprio per questo chiede Giordano «come si convive con l’eterno dilemma di tornare o restare?». Qui Matar non ha dubbi: «Non penso più a questi temi con la stessa ansia e preoccupazione di tanti anni fa. Alle volte bisogna osservare la realtà per come è, non per come vorremmo che fosse».
Matar tiene poi ad aggiungere, come importante tassello a questa riflessione, che in fondo tutti gli scrittori si pongono questo stesso quesito: «perché forse c’è qualcosa nell’evento stesso dello scrivere che ha a che fare profondamente con l’esilio». Le parole di Hisham Matar possono suonare paradossali ma quando si è scrittori si deve avere la capacità di stare sia dentro che fuori; dunque, si è sempre anche un po’ esuli. «Io sono un esule dentro» conclude «e ogni volta devo trovare nuove parole per raccontarlo». Un lungo lavoro di ricostruzione, ascolto e attenzione il suo da portare avanti giorno dopo giorno. Un lavoro che compie con grandissima dedizione, umiltà e pazienza.
L'intervista di Hisham Matar con la redazione di Festivaletteratura