Voci nel silenzio
11 9 2021
Voci nel silenzio

Il Festival da remoto - Giorno 4

Non riesco a credere che siamo già arrivati al penultimo giorno di Festival: i primi tre sono letteralmente volati! Approfitto delle prime ore del mattino per portare a termine tutte le attività quotidiane, così alle 11 sono pronta per ascoltare il quarto episodio di Radio Helsinki. I giorni scorsi leggevo il suo titolo nel programma ed è finalmente arrivato il momento anche per me di scoprire di cosa si tratta! Lo scrittore Luca Scarlini presenta gli ospiti di questa puntata: Harri Salmenniemi, Pajtim Statovci, Tommi Kinnunen e Miki Liukkonen. Comincia Salmenniemi, autore sperimentale che ha preso parte a esperienze del tutto eterogenee: dal cinema alla lirica, dai racconti alla poesia. Proprio a quest’ultima viene rivolta particolare attenzione: in Finlandia ci sono svariate manifestazioni in cui vengono lette poesie in pubblico e l’editoria riserva loro molto spazio, forse anche più che in altri Paesi.

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Statovci è autore di libri sia in finlandese che in inglese, per questo Luca Scarlini decide di domandargli se la lingua scelta influenzi il contenuto stesso del libro. Il romanziere finlandese-kosovaro risponde che trova più complesso scrivere in inglese, non essendo la propria lingua madre, ma proprio questo lo costringe a fare più ricerca e di conseguenza ad essere più creativo.

Kinnunen illustra il proprio desiderio di dare voce a persone tipicamente lasciate a margine della Storia. Lo fa, per esempio, raccontando l’occupazione tedesca della Lapponia dal punto di vista delle donne. Mi ricorda la raccolta di poesie The world’s wife, in cui l’autrice scozzese Carol Ann Duffy racconta le vicende delle più celebri donne della mitologia e della Storia dalla loro prospettiva, e non dalla prospettiva maschile da cui le abbiamo sempre sentite raccontare.

Conclude Liukkonen, autore di romanzi ambientati in «luoghi vuoti». Potrebbero essere ambientati ovunque, dice, perchè il riferimento geografico ha il solo scopo di aiutare il lettore ad entrare nel mondo immaginato. Radio Helsinki mi lascia l’impressione che in Italia si parli troppo poco di letteratura nord-europea.

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Pranzo, poi alle 13 mi sintonizzo su Scarti radioattivi. Il primo ospite è Lorenzo Rizzieri, macellaio ferrarese e autore di Tutto parte dalla terra, in cui si occupa del cambiamento degli allevamenti da estensivi a intensivi. Si parla sempre di più di sostenibilità, ma la “comodità” di gestire allevamenti intensivi porta a continuare su quella strada. Solo pochi mesi fa il governo italiano ha firmato un accordo con l’Unione Europea per ricevere incentivi per questo tipo di allevamento, distruttivo per l’ambiente e in cui gli animali sono costretti a violente sofferenze fino a quando non viene tolta loro la vita.

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Gli “allevamenti sostenibili” - da vegetariana faccio difficoltà a definire “sostenibile” un’industria orientata all’uccisione di animali, cosa di per sé anche solo eticamente insostenibile - si stanno dotando di un fermentatore in cui riversare il letame per non farlo finire tutto nel terreno. Se poco concime naturale è utile per il terreno, infatti, un livello eccessivo dell’ammoniaca e del nitrato presenti nel letame rende incoltivabile il terreno. E parlando di scarti, il 45% del prodotto edibile in Italia viene buttato: dall’edonico che esclude la mela bacata dal supermercato agli animali di cui viene preferita la parte anteriore e il resto spesso buttato. Tutti scarti, vegetali e animali. Una soluzione nelle mani di noi consumatori è quella di impedire che la comodità faccia da padrone, sostituendovi lo sforzo di informarsi e scegliere consapevolmente quali prodotti acquistare e dove acquistarli.

Il secondo ospite è il professor Alessandro Grilli, che ci parla di normalità. Un concetto apparentemente naturale, in realtà culturale. Basti guardare come da adolescenti si sente desiderio di omologazione e si imita ciò che è più socialmente accettato, mentre da adulti diventa una dinamica talmente assimilata che non ci si rende nemmeno più conto di eseguirla. Nei gruppi umani, poi, c’è sempre la tendenza ad isolare il soggetto marcato e distruggerlo per riaffermare l’equilibro della normalità all’interno del gruppo. Segue il giornale radio delle 14 con le rubriche Posta del cuore e Incipit. Per la prima viene letta una lettera alla scrittrice, editor e conduttrice radiofonica Chiara Valerio. Per la seconda il giornalista Gigi Riva ricorda l’incipit de Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal. Dopo questa ricca mattinata spengo il computer e prima di concedermi un po’ di riposo imposto una sveglia per le 16.45 per non rischiare di perdermi il programma radiofonico Il primo romanzo, oggi dedicato alle origini del romanzo giapponese. Il professore Andrea Maurizi ci parla di Genji monogatari (letteralmente, "Il racconto di Genji"), opera dell’XI secolo considerata capolavoro massimo della narrativa classica. A scrivere i monogatari erano membri della media e bassa aristocrazia, perché le persone di classe superiore erano impegnate nella politica e non avevano tempo per dedicarsi alla letteratura (nonostante anch’essa fosse considerata un’occupazione di rilievo). In Giappone i classici della letteratura nazionale vengono letti e apprezzatti da tutte le generazioni, soprattutto grazie alle frequenti riscritture che rendono la lingua sempre attuale e comprensibile ai lettori.

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Assisto poi ad un Accento particolare. Non durerà mezz’ora, tempo usuale di questo format, ma un’ora. Si parlerà di stereotipi di genere, in particolare legati alla comunità LGBTQ+, con Maria Teresa Celotti, giornalista e curatrice di Parole o-stili di vita. Il primo ospite Enrico Finzi afferma che tutte le persone sono caratterizzate da una poliedricità cangiante. Nessuno è copia di nessun altro e ciascuno ha identità variegate. Ridurre le persone ad un solo aspetto della loro vita, come la percezione sessuale, e accettarle o discriminarle in base a questo è sbagliato. Capita di sentire l’espressione “tutela delle minoranze”, ma la necessità di tutela sparirebbe se tutti avessero gli stessi diritti in partenza, indipendentemente da genere, sessualità, etnia o religione di appartenenza. Interviene poi Alessandro Galimberti a ricordare che qualsiasi idea ha diritto di cittadinanza, ma sulle modalità di esprimerle è necessario alzare dei muri. Qualsiasi pensiero deve poter essere espresso, ma con linguaggio consapevole e rispettoso delle persone, senza usare termini o immagini che possano in qualsiasi modo sminuirle. Non si tratta di concetti, ma del modo di esprimerli. E chi subisce violenza, verbale o fisica, non dovrebbe rispondere con un sorriso, come qualcuno ha recentemente suggerito in tv, ma dovrebbe poter fare riferimento ad una legge che difenda i suoi diritti. La parola passa poi a Franco Grillini, che sottolinea il principio di autodeterminazione: ciascuna dovrebbe poter vivere secondo la propria personalità e i propri desideri - chiaramente, ancora, nel rispetto dei diritti delle altre persone.

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Finisce un’intervista e ne inizia un’altra, l’ultima di questa giornata: Una democrazia di voci, o un autoritarismo di silenzi, con la scrittrice e attivista statunitense Rebecca Solnit. Viviamo in società che scelgono a quali voci dare spazio e a quali toglierlo: alcune storie vengono raccontate, ascoltate, credute più di altre. Una forma di privilegio è essere un tipo di persona che viene ascoltata e creduta, non negata. Molte persone provano a far sentire la propria voce raccontando la propria storia, ma semplicemente non hanno nessuno disposto ad ascoltarla. Quando le proprie parole non hanno potere, è quasi peggio vederle fallire che non pronunciarle affatto. La “democrazia di voci” è un ideale in cui i dati di fatto circolano liberamente, invece abbiamo una gerarchia di potere che può costringere al silenzio quei fatti o rendere terribilmente costoso il pronunciarli. Una delle disuguaglianze più pesanti tra uomini e donne è la disuguaglianza di credibilità. Non è raro che venga messa in discussione la testimonianza di una donna, mentre è frequente sentire uomini creare resoconti fantastici sulle esperienze femminili. Ci sono persone convinte di poter manipolare i fatti, e se esistono è solo perché esistono anche persone disposte a credere loro. Come scrisse Hannah Arendt, il protagonista ideale del totalitarismo non è il nazista o il comunista convinto, ma colui che non distingue tra vero e falso. La chiave della resistenza è la conoscenza: informarsi, credere nei fatti ed essere disposti ad ammettere i propri errori.

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