Seit ich denken kann, sagt meine Mutter:
Kälte ist schlimmer als Hunger.
Oder: Wind ist kälter als Schnee.
Oder: Eine warme Kartoffel ist ein warmes Bett.
Von meiner Kindheit bis heute, seit über fünfzig Jahren, hat
meine Mutter diese Sätze um kein Wort geändert. Sie werden immer
einzeln gesagt, weil jeder dieser Sätze für sich genommen 5 Jahre
Arbeitslager beinhaltet. Es ist ihre geraffte Sprache, die das Erzählen
vom Lager ersetzt.
Ich hatte diese kryptischen Sätze ziemlich satt.
Ihr Sinn war ver- steinert, sie klangen schon so unerschütterlich leer
wie dreimald- reiistneun. Ich wollte endlich wissen, was hinter diesen
Sätzen steht. Ich wußte zwar, daß im Dorf alle Frauen im Alter meiner
Mutter „nach Rußland verschleppt“ waren und alle Männer, die damals zu
jung oder zu alt für den Krieg waren. Aber geredet wur- de über die
Lager nur im Flüsterton.
Obwohl Rumänien im Zweiten Weltkrieg mit
seinem faschis- tischen Diktator Marschall Antonescu an der Seite
Hitlers und Mussolinis war, machten die Sowjets nur die deutsche Minder-
heit für die Nazi-Verbrechen verantwortlich. Noch während des Kriegs
wurden im Januar 1945 alle Deutschen im Alter zwischen 17 und 45 Jahren
in die Arbeitslager zum „Wiederaufbau“ depor- tiert. Es gab Listen,
jeder wurde polizeilich von zuhause „ausge- hoben“ zu den Sammelstellen
und dann zum Bahnhof gebracht. Der Transport im Viehwaggon dauerte
mehrere Wochen. Die Lager waren in den Kohlegebieten zwischen
Dnjepropetrowsk und Donetzk, im Donbass, in der heutigen Ukraine. Der
Alltag bestand aus Arbeitskolonne, Schuften, Abendappell, chronischer
Hunger.
Das Sterben hieß Verhungern und Erfrieren. Ich wollte einen Roman über
diese Deportation schreiben. 2001 begann ich, Gespräche mit ehemals
Deportierten aus meinem Dorf aufzuzeichnen. Ich wußte, daß auch Oskar
Pastior depor- tiert war, und erzählte ihm von meinem Vorhaben. Er
wollte mir helfen „mit allem, was ich erlebt habe“, sagte er. Nach
Pastiors Tod mußte ich den Roman alleine schreiben. Er ist gerade mit
dem Titel „Atemschaukel“ im Hanser-Verlag erschienen. Das Lager ist in
seinen vielen, immer monströsen Formen ein Signum des 20. Jahrhunderts.
Die Straflager und Arbeitslager in Deutschland und im GUALG System des
Stalinismus, die Konzentrationslager und Vernichtungslager der
Nationalsozialisten. Die Lager sind – bis auf Russland – zwar in Europa
verschwunden. Das Wort ist aber geblieben. Es bezeichnet heute
Ferienlager, Zeltlager, Orte der Erholung. Und es ist ein Ort der
Vorratshal- tung in den verschiedenen Lagern der Industrie und des
Handels und es ist ein Wort der Technik. Es beeichnet die unterschied-
lichsten Maschinenelemte zum Tragen und Führen sich gegen- einander
beweglichen Teile in Gleitlager, in Wälzlager, in Kugel- lager. Und es
gibt das Endlager, das in Deutschland noch immer gesucht wird, um den
radioaktiven Müll der Atomkraftwerke zu „entsorgen“, für alle Zeiten
verschwinden zu lassen – zynisch gesprochen - eine neue Form der
Endlösung. Und man spricht auch vom Lagerdenken im politischen Streit,
vom postlagernden Brief etc. Im Deutschen höre ich aus diesen
unschuldigen Verwendungen des Wortes Lager immer den Schrecken, eine
Verstörung. Die mit dem Wort Lager bezeichneten Dinge haben ein
Versteck.
Da quando so pensare, mia madre dice:
Il freddo è peggiore della fame.
Oppure: Il vento è più freddo della neve.
Oppure: Una patata calda è un letto caldo.
Sin dalla mia infanzia, da più di cinquanta anni a questa parte,
mia madre non cambia in queste frasi neanche una parola. Vengono sempre
pronunciate separatamente, perché ognuna di queste frasi, presa a sé,
racchiude cinque anni di campo di lavoro. È la sua lingua stringata
che sostituisce i racconti del campo.
Ne avevo abbastanza di queste
frasi criptiche. Il loro senso era fossilizzato, suonavano ormai
irrimediabilmente vuote, come trepertrefanove. Volevo finalmente sapere
cosa si nascondeva dietro queste frasi. Certo sapevo che tutte le donne
del paese dell’età di mia madre e tutti gli uomini che allora erano
troppo giovani o troppo vecchi per la guerra erano stati "deportati in
Russia". Ma dei campi si parlava solo bisbigliando.
Anche se,
durante la seconda guerra mondiale, la Romania con il suo dittatore
fascista Maresciallo Antonescu stava dalla parte di Hitler e Mussolini, i
sovietici hanno incolpato dei crimini nazisti solo la minoranza
tedesca. Ancora durante la guerra, nel 1945, tutti i tedeschi d’età
compresa tra 17 e 45 anni sono stati deportati in campi di lavoro per la "ricostruzione".
C’erano delle liste, ognuno veniva snidato dalla
polizia e portato ai punti di raccolta e quindi alla stazione. Il
trasporto nei vagoni per il bestiame durava settimane. I campi erano
nelle zone carbonifere tra Dnjepropetrows’k e Donetzk, nel Bacino del
Donek, oggi in Ucraina. La quotidianità comprendeva il marciare in
colonna, il lavoro duro, l’appello serale, la fame cronica. Morire
significava morire di fame o assiderati. Volevo scrivere un romanzo su
questa deportazione. Nel 2001 ho cominciato a registrare le
conversazioni con gli ex-deportati del mio villaggio. Sapevo che anche
Oskar Pastior era stato deportato e gli ho raccontato della mia
intenzione. Voleva aiutarmi "con tutto ciò che ho vissuto" ha detto.
Dopo la morte di Pastior ho dovuto scrivere il romanzo da sola. È
appena stato pubblicato da Hanser-Verlag con il titolo Atemschaukel
(L’altalena del respiro). Il Lager, nelle sue molteplici ma sempre
mostruose forme, è un simbolo del ventesimo secolo. I campi di
punizione e di lavoro in Germania e quelli del sistema Gulag dello
stalinismo, i campi di concentramento e i campi di sterminio dei
nazionalsocialisti. Con l’eccezione della Russia, in Europa sono
scomparsi. La parola, però, è rimasta. Oggi sta per campo estivo,
campeggio, camping, luogo di riposo. È anche il luogo dove si tengono
le provviste nei diversi magazzini dell’industria e del commercio ed è
una parola della tecnologia. Designa diversi parti di macchinari,
utilizzati per azionare parti mobili, per esempio Gleitlager,
cuscinetto a strisciamento, Wälzlager, cuscinetto a rotolamento, Kugel- lager, cuscinetto a sfera. Poi c’è lo Endlager, il deposito
per le scorie radioattive, per farle scomparire per sempre, in quella
che cinicamente si potrebbe definire una nuova forma di soluzione
finale. E nelle controversie politiche si parla anche di Lagerdenken,
che equivale a dire ragionare per stereotipi. Poi c’è l’espressione postlagernder Brief che corrisponde a "fermo posta", ecc. Nelle
accezioni innocenti della parola Lager in tedesco sento sempre il
terrore, il turbamento psichico. Le cose designate con la parola Lager
hanno una specie di nascondiglio.