Kefi
Elena (italiano)
Lingua della parola adottata: Neogreco
Festivaletteratura Gioioso entusiasmo, condizione di irrefrenabile felicità

Non ammette una traduzione schietta questa parola. Se la pronuncio lentamente, kiefi, trasuda spezie rossastre e mi ricorda terre assolate di viaggiatori arabi e turchi. Ad Atene non si lascia trovare scolpita tra i marmi bianchi, ma nei caffè di Exarchia, laddove al suono dei buzukia uomini fieri danzano movimenti antichi, ritmando suono e silenzio con un fragore di pietra. Là dove un kafedaki - io lo chiamo caffe'aoristo, senza limiti di tempo- diventa pretesto per abbandonarsi al piacere di conversare, là dove con gioiosa barbara imprudenza volano brandelli di piatti - così si tengono lontani gli spiriti, mi dicono-, ecco là si può avvertire il kefi. È joie de vivre, eros, entusiasmo: il dio di classica memoria non solo ti abita, ma pretende che di questo con-dominio vi sia evidenza. Il kefi infatti prende vita solo se c è un altro, una pluralità con cui condividere l'istante: l'altro, allora, non può che abbandonarsi e parteciparvi pienamente. Questa parola risulta così complessa perché nasce da una profonda -amara?- accettazione del limite. Tempo, corpo, fato. Ecco perché in Grecia anche nei contesti più bizzarri l'espressione "then birazi"(non importa) risuona accompagnata da una strana smorfia, tra lo speranzoso e l'enigmatico. Anche lì io vedo kefi, beffarda poesia.



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