Il tradimento ha radici profonde. Le ha anche questa parola che, secondo il dizionario che l’Accademia di Svezia si dedica a realizzare dalla fine del Settecento, quando fu fondata – lavoro non ancora ultimato: l’anno scorso si è arrivati alla lettera U – risale allo svedese scritto più antico che ci sia: quello runico. Svek è il sostantivo derivato dal verbo svika, che può avere molti significati solo parzialmente sovrapponibili. Svika come 'schiantarsi', 'cedere', 'non reggere alla pressione'; ma anche tradire qualcuno o qualcosa. L’aspetto interessante è che, a differenza di molte altre lingue, lo svedese non opera una distinzione tra tutti questi significati. Una sola parola li copre tutti. Tradire la patria o i propri principi, mostrarsi sleali verso gli amici, essere infedeli alla moglie o non potersi più fidare della propria memoria: in qualsiasi cosa si venga meno, a reggere il concetto è quest’unica parolina di quattro lettere. Uno svek è qualcosa di irrevocabile, ineluttabile. Questa parola pregnante, pur se di sole quattro lettere, campeggia al centro della lingua da tempi immemorabili, come un albero. E anche se la chioma è stata potata e il fusto è stato reciso per gettarsi alle spalle la vergogna e smettere di fustigarsi, le barbe delle radici si ramificano in infiniti nidi sotterranei di significati.

Per i traduttori questa radice di quattro lettere è causa di perenni lambiccamenti. La mia traduttrice tedesca mi scrisse in una lettera di aver tentato di renderla con Verrat, ma questa traduzione non ne copriva interamente il significato. Poi aveva provato con Treulosigkeit, ma anche qui la copertura non era totale. La maggior parte delle lingue, come per esempio il tedesco, distingue tra un atto di svek sul piano personale e, per così dire, su quello impersonale. In inglese you betray a cause or a country (si tradisce una causa o un paese) ma you let somebody down (si viene meno a un impegno verso qualcuno). Naturalmente in inglese si può anche betray ('tradire') una persona, ma per poter usare la parola betrayal è necessario il coinvolgimento di terzi. Lo svek svedese avviene tra due parti, in cui una è sleale e l’altra subisce la slealtà. Ma la parola svek rappresenta anche un tradimento di genere più alto, e a volte lo è anche. Mi capita di chiedermi perché la parola svek riesca a coprire con tanta facilità entrambi i significati. Dipende forse dal fatto che, in quanto nazione neutrale, da duecento anni a questa parte la Svezia non ha più partecipato a una sola guerra, e che la parola förräderi, 'tradimento', non è stata per così dire aggiornata da allora? O è forse il fantasma del welfare state svedese a ricomparire cancellando la distinzione tra causa e persona e pretendendo da tutti i cittadini la stessa indefessa lealtà? O forse è l’etica protestante del dovere?

Impossibile stabilirlo. Io so solo che in tutti i miei romanzi ho ostinatamente girato intorno a uno o più dei tanti significati di quest’unica parola. E forse è così che deve lavorare uno scrittore. La bontà ci mostra sempre lo stesso volto fiducioso. Il suo significato rimane stabile e la parola significa la stessa cosa in tutte le lingue. Al contrario lo svek – è nella sua natura – dà a uno scrittore la possibilità di seguire le diramazioni del male fino ad angoli reconditi in cui non ci si aspetterebbe di trovarlo. E anche la letteratura stessa – dobbiamo ammetterlo, per correttezza – ha la lingua biforcuta. La letteratura parla a chiare lettere e insieme mente. Le possibilità offerte dalla lingua svedese di sostantivare e combinare sostantivi diversi dà allo scrittore che conosce bene la sua lingua infinite possibilità di essere fedele a una parola e nello stesso tempo tradirla con migliaia di nuovi significati secondari.