Guerra è sempre
9 9 2018
Guerra è sempre

Il pregiudizio antisemita in ottica psicanalitica

Élisabeth Roudinesco, membro della fu “École freudienne de Paris”, si interroga in maniera lucida e senza concessioni sull’enigma della condizione ebraica, indagando al contempo sul significato profondo dell’antisemitismo e riportando una tematica così delicata all’attenzione generale. L’analisi di questi due quesiti, inseparabili l’uno dall’altro, procede a partire dalla differenziazione tra antigiudaismo, sia medievale che illuminista, e antisemitismo. L’antisemitismo esiste anche in assenza di ebrei, essenzialmente a causa dell’odio per l’ignoto e delle difficoltà a riconoscerli come gruppo separato – se non con la creazione di un identikit stereotipato come avvenuto nel XX secolo – e in quanto rappresentanti del primo monoteismo.

Tale differenziazione serve innanzitutto ad evitare che la colpa della Shoah venga fatta risalire ai Lumi che, come affermato da Adorno nel suo Dialettica dell’illuminismo, avrebbero lentamente perso il loro ruolo emancipatore tramutandosi in una forma di perenne messa in discussione di qualsiasi lato del progresso. La separazione tra i due concetti si rivela utile anche qualora Roudinesco provi ad andare oltre quanto fatto da Hannah Arendt, chiedendosi se l’antigiudaismo vada in fondo concepito come antisemitismo. L’antigiudaismo, ricorda l’autrice, presuppone l’elemento religioso, mentre l’antisemitismo è qualcosa che appare nel momento in cui l’ebreo è considerato una razza, prescindendo l’elemento religioso e tentando di giustificarsi attraverso argomenti scientifici. Infatti, anche se l’ebreo si dovesse convertire, rimarrebbe comunque un ebreo.

L’autrice mette in guardia da un più sottile tipo di antisemitismo: l’antisemitismo inconscio. Infatti, il discorso antisemita è sì illegale, ma l’antisemitismo in quanto pensiero no, per questo esso può esprimersi in altre forme, anche in maniera inconsapevole, dando vita a quelli che psicanaliticamente possono essere considerato dei veri e propri deliri.

È importante notare come, nonostante dall’esterno si tenti di dare all’ebreo un’identità ben definita, quasi inalienabile dal soggetto, esso sia in realtà, per definizione, un elemento che si definisce in base alla non-identità, al contrasto tra identità della nuova comunità dei salvati e identità delle nazioni e dei popoli, tra ebreo universale ed ebreo cittadino di una nazione. Secondo Freud il problema centrale consiste nella ricerca di un equilibrio tra il bisogno di identificarsi come ebreo rinunciando ad essere ebreo dal punto vista religioso. In questo contesto, Freud rappresenta l’ebreo come ebreo universale, il cui unico territorio è l’impegno nella dottrina, sola via per uscire dal ghetto – rappresentazione che lascia sottintesa la contrarietà di Freud a un qualunque progetto sionista.

Progetto sionista che, nella mente del suo ideatore, Theodor Herzl, sarebbe dovuto essere uno Stato per gli ebrei ma non solo, laico e non nazionalista. Lo Stato di Israele, così originariamente concepito, si sta trasformando da movimento socialista che mirava alla creazione di un rifugio per il popolo più perseguitato della storia, da Stato per gli ebrei, in Stato ebraico, causando una violenta lotta interna tra correnti ebraiche. L’ebreo, precisa più volte l’autrice, non può però diventare persecutore di un altro popolo col pretesto di essere perseguitato.

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