Un giorno in archivio: il viaggio
20 6 2016
Un giorno in archivio: il viaggio

I ragazzi delle scuole superiori alla scoperta delle passate edizioni del Festival

Nell'ambito dell'alternanza scuola-lavoro, l'Archivio del Festival ha ospitato nel 2016 i ragazzi delle scuole superiori della città e della provincia di Mantova per affiancarli nella realizzazione di percorsi ragionati all'interno del patrimonio documentario raccolto nelle passate edizioni di Festivaletteratura, che da quest'anno sta conoscendo anche una robusta opera di digitalizzazione e pubblicazione online. Grazie a queste preziose risorse – e con frequenti incursioni nei materiali prodotti sul sito e sui social del Festival negli ultimi anni – gli studenti del Liceo Classico Virgilio e del Liceo Scientifico Belfiore di Mantova son partiti dalla scelta di uno specifico nucleo tematico per dar vita a delle panoramiche sugli incontri (e gli autori) che dal 1997 a oggi hanno incantato il pubblico del Festival. Un giorno in archivio è la piccola rubrica che raccoglie questi importanti lavori di approfondimento. Il primo in ordine di pubblicazione, dedicato al tema del viaggio, è stato opera delle bravissime Giulia Di Sano, Sofia Gandolfi, Sofia Pasotto e Irene Voltolini del Liceo Classico Virgilio di Mantova.

Viàggio
pronuncia: /ˈvjadʤo/, /viˈadʤo/
sostantivo maschile
1 lo spostarsi da un luogo ad un altro, che sia distante dal primo
2 il tragitto, il percorso che si compie, specialmente per portare oggetti da un posto all'altro (dizionario italiano Olivetti)

Il viaggio è un tema ricorrente tra quelli presenti a Festivaletteratura, approfondito sia dal punto di vista fisico che psicologico durante lo svolgimento di svariati eventi. Quello da noi compiuto è stato un “viaggio alla ricerca di viaggi” con il quale siamo sbarcate su nuove isole di conoscenza. Attraverso l'ascolto di diverse registrazioni sonore conservate nell'archivio di Festivaletteratura, abbiamo individuato un filo conduttore che ne collega alcune a partire dal 1997 fino al 2015.

Robert Macfarlane, ospite al Festivaletteratura nell'evento Uno scrittore in cammino (2014), vuole comunicarci con il suo libro Le antiche vie – un elogio del camminare quello che secondo lui è lo scopo finale dell'attività del camminare: la ricerca di se stessi. Ripercorrendo le tappe di un suo grande idolo, Edward Thomas, poeta, saggista e romanziere britannico che trovava l'ispirazione per i suoi scritti nel corso delle sue passeggiate, e seguendo gli ideali di uno dei due principali fondatori del Romanticismo inglese, Samuel Taylor Coleridge, Macfarlane racconta un percorso di crescita e maturazione compiuto grazie al viaggio, con l'aiuto di svariati compagni. L'autore ci insegna che il paesaggio non è un'entità esterna a noi, ma «è una forza dinamica che crea scompiglio, ci plasma e ci scolpisce non solo nel corso di una vita ma di istante in istante, di evento in evento».

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Uno dei più comuni verbi usati dalla lingua inglese, "to learn", deriva da un termine protoindoeuropeo, "liznojan", che significa "seguire un cammino" e "camminare per cercare la conoscenza". Questo dimostra come le abitudini dell'uomo e la sua stessa lingua siano fondate sull'antica attività del camminare. Scopriamo attraverso cammini compiuti in Inghilterra, in Scozia, in Palestina, in Spagna e in Tibet, che viaggiando si ritrova un ordine interno, un equilibrio che ci permette di vivere più serenamente, perché la mente è una sorta di paesaggio e il cammino un mezzo per conoscerlo”. Molti sono i motivi per camminare; infatti come ci dice l'autore stesso «il paesaggio ci ha sempre offerto modi efficaci e profondi di rappresentarci a noi stessi, di plasmare la memoria e di dare forma al pensiero, aiutandoci così nel delicato processo di riflessione. Il cammino consente una maturazione completa, acquisita attraverso l'analisi interiore e la condivisione con altri. Si cammina per “imparare a interpretare le impronte di chi è passato prima di noi», per imparare a perdersi e ritrovarsi, per sviluppare un nuovo "io" più cosciente di se stesso e di tutto ciò che gli sta intorno. «Camminare non è un'azione attraverso cui si arriva alla conoscenza; è di per se' uno strumento di conoscenza».

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Anche Colin Thubron, autore del romanzo Ombre sulla via della seta, durante l'evento La voce dello scrittore di viaggi, tenuto a Festivaletteratura nel 2007, afferma che si intraprende un viaggio per entrare in contatto con altre identità umane, per incontrare le molteplici forme della fede, perché si è ancora giovani e si desidera essere pervasi dall'eccitazione, oppure perché si è vecchi e si vuole capire qualcosa prima che sia troppo tardi. Secondo lui questa esperienza va affrontata da soli perché solo in questo modo riusciamo ad abbandonare le nostre abitudini e ad entrare in contatto con nuove culture capendo meglio le origini e scoprendo gli aspetti più nascosti di una popolazione. La sua opera, ricca di storie appartenenti ai nativi, che regalano al racconto un pizzico di mistero, consiste in un appassionante viaggio alla ricerca delle rovine di epoche lontane che raccontano la storia di civiltà diverse dalla nostra. Lo scrittore si preoccupa anche di visitare le città che stanno subendo un processo di occidentalizzazione per capire meglio in che modo la globalizzazione influisce sull'Oriente, soprattutto nella Cina moderna. «Abbiamo paura di non sperimentare nuove emozioni perché «è in quel momento che sentiamo noi stessi» – afferma Thubron – perché è in quel momento che vengono a galla tutti i nostri dubbi e le paure che abbiamo represso. Durante il percorso i legami con i famigliari e e gli amici si attenuano. Quando si è lontani da casa, immersi in una realtà completamente diversa da quella che viviamo tutti i giorni, ci rendiamo conto di avere dimenticato la nostra identità e si ha l'impressione che il passato ci appartenga a malapena. L'esploratore ha l'ambizione di raggiungere nuovi orizzonti senza mai stancarsi. Arrivati a un certo punto però, quando si sono viste troppe cose, è necessario tornare a casa ed essere grati per ciò che si è potuto ammirare. Il ritorno è un elemento essenziale per non dimenticare le proprie origini. «Forse siamo stati tutti troppo in viaggio. Troppe generazioni, è tempo di tornare».

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La pensa così anche Mauro Francesco Minervino, insegnante e viaggiatore forzato sulle strade della propria regione il quale ritiene che tutti i viaggiatori abbiano una dimora: un luogo dove tornare ogni volta dopo le interminabili peregrinazioni che conducono alla scoperta di nuovi luoghi, nuove relazioni e nuove osservazioni. Al Festivaletteratura di Mantova nella Traccia Per le strade di Calabria presenta Statale 18, un libro che cerca di spiegare i motivi per cui si è spinti a viaggiare e soprattutto descrive ciò che si può trovare sul percorso che si decide di intraprendere. Minervino paragona la strada calabrese ad «un luogo che somiglia ad uno straordinario, divertentissimo e civilissimo bar, una stazione di servizio a campo di San Giovanni», la cui cornice è costituita da scempi edilizi della sovraurbanizzazione e da scorci di incontaminata bellezza, che, sempre più rari, non riescono a farsi spazio in questa nuova cultura basata sul cemento e sull'asfalto. Durante l'incontro infatti Minervino ci porta, con estrema facilità, grazie anche alle coinvolgenti immagini del vignettista Joshua Held, ad osservare come il mondo stia cambiando, ormai in balìa della cementificazione e della deturpazione edilizia, a scapito dell'ambiente naturale. L'evento racconta il sud, luogo della civiltà, in cui malavita e malaffare si scontrano con la profonda resistenza della gente per bene su questa strada, la SS18. Il viaggio quindi non è visto solo come uno svago o un lavoro, ma diventa simbolo di uno status sociale e di una battaglia che si compie ogni giorno tra malavita e legalità. «Ogni viaggio è una prova. E perciò anche il più scimunito e banale dei tragitti (…) può trasformarsi in un'odissea piena di incognite, di incontri e di avventure». Minervino ci invita quindi a guardare al viaggio come occasione di nascita di nuovi rapporti umani ma anche come crescita di sé, in quanto possibilità di un'intensa e approfondita riflessione sulla propria persona.

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Ciò viene affermato anche da Edith de la Héronnière, filosofa francese e autrice di diversi libri, tra i quali La ballata dei pellegrini (La ballade des pèlerins), pubblicato nel 1993, che racconta il viaggio, definito “la lunga marcia", di due uomini e due donne verso Santiago de Compostela. Durante l'evento Cammini iniziatici tenutosi a Mantova nel 2005, si citano concetti importanti e significativi per la scrittrice tra i quali: la “delusione o accidia” che si manifesta quando si perde di vista il senso dell'impresa, la “sprezzatura”, teorizzata da Cristina Campo nel suo libro “L'imperdonabile”, nella quale la scrittrice si rivede, e la "realtà", in particolare i modi, le strategie per “affrontare la realtà”, che consistono nel confronto tra ideale, intelletto e realtà. Riguardo a ciò la scrittrice, cita il poeta Victor Segalen il quale sostiene che “Attraverso il quotidiano meccanismo della marcia, apparirà manifesta l'opposizione tra i due mondi quello pensato e quello affrontabile”. L'autrice racconta il proprio pellegrinaggio presentando non solo le personalità dei vari “erranti” ma anche le fatiche, le sofferenze, i malumori che si stemperano e si cancellano nella "pace" dell'arrivo a Santiago, la meta finale. Il numero sette domina l'intero saggio: sette sono i "passi" in cui è stato suddiviso il libro, sette sono le porte di questo percorso iniziatico e sette sono le virtù. Inizialmente i pellegrini, che partono dalla Basilica di Vézelay in Borgogna e si dirigono a Santiago de Compostela, sono tre. In seguito però, diventano quattro, andando a formare il gruppo definitivo del pellegrinaggio. Da questo proposito la scrittrice ribadisce, nel libro e nell'evento l'importanza dell'amicizia sia nell'affrontare un viaggio sia nella vita quotidiana: «In un terzetto nessuno resta uguale a nessuno, se in due, dopo un po', ci si spegne, in tre ci si rianima continuamente». Lei stessa aggiunge però che «Quattro è un numero terribile... In quattro non c'è amicizia che tenga, ma solo coscienze solitarie e contrastanti che talvolta stringono alleanze variabili a seconda del vento». Il viaggio quindi è uno spunto di riflessione per conoscere meglio se stessi e gli altri.

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L'antropologo e sociologo francese David Le Breton, presente al Festivaletteratura nel 2015 all'evento “Un buon camminatore arriva sempre”, afferma che “camminare è una forma di riconciliazione con se stessi e con gli altri», gesto fondamentale per l'evoluzione umana fin dai tempi più antichi. Possiamo quindi dire che il viaggio, sia in compagnia che in solitudine, è parte caratterizzante dell'indole umana, in quanto si è sempre alla ricerca di nuovi orizzonti del sapere. Essendo anima e corpo un'unità indissolubile, entrambe le parti si spingono a vicenda verso la continua ricerca di realtà ignote. Nell'intervista da noi analizzata, oltre al tema del viaggio, l'autore ha anche riservato ampio spazio alla tematica del corpo, facendoci così capire lo stretto legame che intercorre fra queste due ambiti.

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Approfondimento a cura di: Giulia Di Sano, Sofia Gandolfi, Sofia Pasotto e Irene Voltolini del Liceo Classico Virgilio di Mantova.

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