In uscita il volume di Vocabolario europeo
6 9 2017
In uscita il volume di Vocabolario europeo

Le parole (d)agli autori

Da mercoledì pomeriggio presso lo spazio per l'accoglienza dei volontari in piazza Leon Battista Alberti troverete le copie gratuite del Vocabolario europeo, un'edizione che raccoglie le parole donate dagli autori nei dieci anni di Vocabolario europeo dal 2008 al 2017 curato da Matteo Motolese e Giuseppe Antonelli. Vi proponiamo alcuni passi della prefazione al volume:

«Con il Vocabolario europeo gli scrittori riprendono la parola. O meglio: si riprendono le parole. Questo progetto è anche un modo per reagire alla marginalizzazione degli scrittori (e delle loro voci) nella società contemporanea.

Parole-bandiera come lo svedese allemansrätt ovvero ‘il diritto di ciascuno di attraversare o campeggiare in boschi o terreni di proprietà altrui’, come l’irlandese fianna ‘banda di guerrieri’ o il portoghese saudade, come l’albanese besa ‘parola data’. Parole che rimandano a una specifica cultura, con i suoi valori e le sue abitudini. E dunque facilmente sconfinano da un lato nel campo delle parole-carattere: l’ungherese panaszkodás ‘lamentela’, il catalano rauxa ‘ostinata stravaganza’ o lo scozzese scunnered ‘esasperato’, ma anche il siciliano traggediaturi ‘persona dagli atteggiamenti teatrali’. Dall’altro, invadono il campo delle parole-idea come l’inglese argument ‘discussione’ o il turco belki ‘forse’, che rimandano alla dialettica e al dubbio sistematico, o ancora come il ceco parchant ‘ibrido’, col suo rifiuto di ogni presunta purezza totalitaria. Parole-idea ancora più marcate – quasi parole-ideale – sono ad esempio il francese révolution, il bosniaco mir ‘pace’, l’olandese gedogen ‘tollerare’. Più ampie, tanto da diventare parole-mondo, il greco thalassa ‘mare’ o l’italiano acqua, il tedesco Bild ‘immagine’, il francese désir ‘desiderio’.

E così, lemmi lemmi, parola per parola, siamo arrivati a mettere insieme il nostro Vocabolario europeo di quasi cento voci. Voci diverse, come quelle – acute e baritonali, scherzose, riflessive, appassionate – delle autrici e degli autori che in questi anni si sono cimentati nel gioco di far entrare tutta la loro lingua (la loro cultura, memoria, esperienza) in una sola parola.

Fra le tante voci, mi piace ricordarne almeno una. Quella di una scrittrice dai tristi occhi cerulei che, pochissimo nota al pubblico italiano, si è presentata nella chiesa di Santa Maria della Vittoria senza farsi notare. Gracile e un po’ impacciata: attenta, si sarebbe detto, a occupare meno spazio possibile.

La scrittrice, prendendo spunto da un suo libro non ancora tradotto in Italia, aveva scelto la parola Lager. Rispondeva alle mie sollecitazioni cordiali, precisa, lucida, coinvolta. E raccontava della paura per l’indifferenza con cui oggi in Germania Lager si usa per parlare di campeggi estivi; dell’incommensurabilità di quel male a qualunque altro; della sua esperienza della dittatura e della sua appartenenza a una minoranza linguistica. Guardava attenta l’interprete mentre traduceva, come ad accertarsi che non solo il senso, ma il tono delle sue parole fosse reso fedelmente. Guardava me per vedere se seguivo; il pubblico per vedere come reagiva.

E il pubblico reagiva bene, tributandole sempre più attenzione; concedendole via via che l’ascoltava sempre più credito e fiducia. Alla fine, le domande – il vero termometro dell’interesse del pubblico agli incontri del Festival – arrivano copiose e appassionate. Lei riflette e risponde attenta, seria, senza concessioni. Poi i saluti di rito e pochi autografi, mentre il pubblico sciama frusciante verso il prossimo incontro. Esattamente ventisei giorni dopo, l’8 ottobre 2009, all’occhicerulea Herta Müller viene conferito il premio Nobel per la letteratura».


Festivaletteratura