Scienza, esatto?
9 9 2016
Scienza, esatto?

Scoperte, dibatti, interrogativi ancora aperti: la scienza si legge al Festival

Festivaletteratura da sempre orbita attorno ad un'accezione ampia di letteratura. Anche quest'anno, l'universo letterario si espande in direzione di incontri divulgativi sulle ultime scoperte scientifiche, affrontando le più interessanti domande di ricerca che attanagliano fisici, matematici, filosofi della scienza ed esperti poliedrici. Dalle onde gravitazionali a Darwin, dalle riflessioni su "cosa può considerarsi scienza" alla questione di come diffondere il sapere scientifico, racconteremo qui tutti gli eventi dedicati a fornire strumenti e stimoli per leggere la scienza.


Eugenia Cheng inizia il suo intervento a Festivaletteratura spiegando che il suo amore per la matematica deriva dall'infanzia: sua madre trovava mille modi per mostrarle la parte interessante di questa materia. Oggi vorrebbe trasmettere la stessa passione e l’idea che la matematica possa essere utile e soprattutto interessante, per bambini e adulti. I più piccoli, che hanno appena iniziato a studiare la matematica, sono molto eccitati quando devono risolvere un problema mentre, andando avanti con gli studi, la maggior parte delle persone perde ogni trasporto. Questo succede, dice Cheng, perché perdiamo contatto con la parte reale della matematica, di cui i numeri sono solo un’astrazione.

Eugenia Cheng è professoressa di matematica all’Università di Sheffield in Inghilterra e all’università di Chicago. Alla passione per la scienza unisce anche quella per la musica: è una pianista di talento e ha fondato il Liederstube, una fondazione per coinvolgere il grande pubblico con la musica classica e permettere ai musicisti di esprimere la loro arte. Grazie alla musica ha coinvolto anche il pubblico di Mantova, dopo aver suonato il preludio di Bach, ha mostrato la struttura della partitura in un disegno. Per lei, dice, è stato più facile suonarlo dopo aver visualizzato la sua semplificazione.

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Cheng è riuscita ad unire alla matematica anche un altro sua grande amore, quello per il cibo. Ha raccontato alla fine dell’incontro, in risposta a una domanda di Pino Rosolini, che l’idea di usare il cibo per spiegare la matematica le è venuta grazie a un evento particolare. Un giorno entrata in aula per una lezione all’università ha trovato un vassoio di biscotti Oreo sulla scrivania, e nessuno sapeva come fossero arrivati lì. Questo è stato lo spunto per spiegare un argomento particolarmente complicato.

Trasmette il suo entusiasmo anche nei numerosi video caricati su youtube dove tiene brevi lezioni divertenti, sui canali The Mathsters e The Catsters.

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Il suo libro Biscotti e radici quadrate è uscito a gennaio in Italia. Ora anche i lettori italiani sono pronti a forse rivalutare la matematica.


«Siamo come surfisti in attesa dell'onda gravitazionale perfetta». Scherza così Alberto Vecchio, astrofisico, cercando di spiegare al pubblico il proprio lavoro all'osservatorio LIGO, negli Stati Uniti.

LIGO (osservatorio interferometrico laser per le onde gravitazionali) elabora i dati trasmessi da due interferometri, ampi impianti costituiti da specchi che rifrangono dei raggi laser e registrano le minime variazioni nel loro viaggio: queste variazioni sono causate dal passaggio di onde gravitazionali attraverso i raggi dell'impianto. Non si tratta però di un lavoro semplice: nel loro viaggio di 4 km (tanto sono lunghi i bracci dei due impianti americani) i raggi laser subiscono una oscillazione inferiore a un milionesimo del nucleo di un atomo.

Ecco perché il rilevamento registrato il 14 settembre 2015 poco prima di mezzogiorno è stato un risultato epocale: un quarto di secondo che ha cambiato la storia dell'astronomia. Entrambi gli impianti di LIGO e l'impianto Virgo, situato in Italia e partecipe dello spesso progetto di ricerca, hanno registrato una vibrazione ascrivibile a un evento cosmico verificatosi in un lontano angolo dell'universo, milioni di anni fa: due buchi neri, attratti l'uno dall'altro, si sono schiantati tra loro, fondendosi in un unico buco nero.

In linea con quanto teorizzato da Einstein con la teoria della Relatività Generale, che trova così conferma empirica dopo un secolo dalla sua formulazione, l'evento cosmico ha prodotto un'energia che ha generato una perturbazione nel tessuto dello spazio-tempo. Un brivido che ha attraversato l'universo senza esaurirsi e arrivando a noi e alle grandi sensibilissime antenne di LIGO e Virgo.

Insieme ad Amedeo Balbi, astrofisico e divulgatore scientifico, Alberto Vecchio avvicina così il pubblico del Festival ai grandi misteri dell'universo e alla bellezza delle risposte che la fisica riesce a dare. Quando nella sala del Teatro Ariston di Mantova risuona la registrazione audio dell'onda rilevata da LIGO, un brusio sporco simile a un'interferenza radio ma proveniente da una galassia lontanissima, tutto il pubblico trattiene il fiato.

Ora che con le osservazioni degli anni recenti sia il Modello Standard sia la Relatività Generale, teorie formulate nel secolo scorso, sono state finalmente dimostrate, quali nuove sfide si aprono alla fisica teorica e sperimentale? Da un lato il nodo cruciale sul piano teorico: trovare la formula che metta insieme le interazioni fondamentali con la Relatività Generale; dall'altro proseguire con l'osservazione sempre più avanzata delle onde gravitazionali. A questo scopo NASA e ESA stanno lavorando al lancio di un interferometro spaziale, LISA: una grande antenna in orbita che ascolterà le onde provenienti dallo spazio profondo.


«Si dice che gli americani ricordano dov’erano quando venne assassinato Kennedy; ecco, i fisici invece si ricordano dov’erano quando è stata osservata la prima onda gravitazionale, il 14 settembre 2015 alle ore 11, 50 minuti e 45 secondi». È così che Alberto Vecchio, astrofisico di origine mantovana ed esponente di rilievo nel panorama scientifico internazionale, trascina gli spettatori nel mondo della fisica e delle onde gravitazionali.

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Vecchio parte dalla spiegazione del titolo della Lavagna, “GW150914", dove le prime due lettere della sigla stanno per Gravitational Wave (onda gravitazionale in inglese) mentre i numeri indicano la data, secondo l’uso americano, dell’osservazione della prima onda gravitazionale. L’esperimento che ha permesso di provare l’esistenza di questo tipo di onde, già teorizzata da Albert Einstein nel 1915, è quello di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). LIGO è un osservatorio americano sviluppato su due basi, una nello stato di Washington e una in Louisiana, in cui viene sfruttato il fenomeno della riflessione della luce: a distanza di 4 kilometri vi sono due specchi, un laser emette un segnale luminoso che viene proiettato sugli specchi, riflesso e infine rilevato da un apposito strumento. Una variazione nell’ampiezza d’onda della luce è la prova dell’onda gravitazionale, del fatto che la sua presenza vari lo spazio-tempo e dunque le posizioni fra gli oggetti.

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Ma perché si generano le onde gravitazionali e perché è così importante studiarle? GW150914 è l’espressione di un evento affascinante, avvenuto circa 1 miliardo di anni fa: lo scontro fra due buchi neri. A velocità prossime a quelle della luce, due buchi neri hanno «fatto i loro ultimi giri di valzer» (per citare direttamente Vecchio) in un’area di dimensioni pari a quelli della penisola italiana e dopo aver girato, uno intorno all’altro, si sono scontrati e fusi. Ciò che è arrivato a noi di questo evento è proprio GW150914.

D’altra parte le onde gravitazionali sono molto deboli e la loro osservazione necessita di attrezzature estremamente sofisticate (basti pensare che gli specchi di LIGO si sono spostati di 1 millesimo della dimensione di un protone!). Tuttavia esse trasmettono informazioni sulle masse che si muovono e conducono ad uno studio dell’Universo totalmente diverso, permettono di aprire “una nuova finestra osservativa”. LIGO tornerà al lavoro fra circa 1 mese e come ha concluso Vecchio: «non abbiamo la più pallida idea di ciò che scopriremo».


Di seguito l'intervista ad Alberto Vecchio realizzata dalla Redazione di Festivaletteratura:

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Anche per il percorso dedicato alla scienza, Festivaletteratura per i più piccoli: dieci giovanissimi collaborano con la redazione per offrire un resoconto dettagliato di tutti gli eventi dedicati ai bambini e ai ragazzi.

Oggi nelle sale di Palazzo Ducale si è parlato di spazio ed universo con l’evento di Harriet Russell e Amedeo Balbi. Amedeo è un astrofisico e scrittore che si è messo a disposizione per rispondere alle domande dei ragazzi. Superato l’imbarazzo iniziale il giovane pubblico ha cominciato a interrogare l’autore sui propri dubbi riguardo l’astronomia. Così si è discusso di buchi neri e meteoriti, pianeti e costellazioni senza dimenticare universi e galassie. Nonostante la complessità delle domande proposte, sorprendente per l’età dei piccoli spettatori, Amedeo è riuscito a dare risposte complete e comprensibili per chiunque, anche per chi non è esperto in materia. I ragazzi hanno quindi scoperto come nascono i buchi neri, quale pericolo possano realmente rappresentare per noi i meteoriti e come uno di questi abbia contribuito all’estinzione dei dinosauri, notizie riguardanti la vita di una stella (come il sole) e la presenza di molti altri universi oltre al nostro.

L’osservazione dello spazio è da sempre una delle più grandi passioni dell’uomo e negli ultimi anni di studio gli scienziati, Amedeo compreso, hanno fatto grandi progressi in questo campo. Il pubblico è stato entusiasta nel conoscere le ultime scoperte dell’astronomia.

La seconda fase dell’evento è stata a cura di Harriet che ha diretto un laboratorio per la costruzione di un telescopio fai-da-te. I bambini hanno praticato un’incisione in un rotolo di cartone, nel quale hanno poi inserito un cerchietto di carta nera opportunamente decorata con una costellazione a piacere. Il rotolo, corpo del telescopio, è stato poi avvolto con cartoncino colorato per arrivare ad ottenere un risultato spaziale.


«La filosofia è morta». Così si apre la lavagna di Massimo Pigliucci, con una citazione provocatoria dello scienziato Stephen Hawking. Certo è che Pigliucci si intenda sia di scienza sia di filosofia, essendo stato studioso di genetica e biologia evoluzionistica e ora docente di filosofia al City College di New York. La posizione di Hawking è decisa e sicura: la filosofia non fa avanzare la scienza. Secondo Albert Einstein, invece, i due mondi devono entrambi caratterizzare il pensiero e il lavoro dello scienziato. Queste due posizioni contrastanti non possono non tenere conto dell’evoluzione storica della filosofia e della scienza.

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I primissimi filosofi greci erano sia l’uno che l’altro. Su tutti, Talete fu il primo studioso occidentale a cercare risposte alle proprie domande senza interrogare il supernaturale e il divino. Pigliucci precisa inoltre che non esiste una filosofia, ma più filosofie, e che nell’incontro si occuperà solo di quella derivante dal pensiero occidentale (l’approccio orientale presenta punti in comune ma anche divergenze significative). Anche Aristotele fu sia filosofo sia scienziato, e l’incrocio fra questi due grandi insiemi del sapere umano rimarrà una costante per millenni, fino ai giorni nostri, dove ci si continua ad interrogarsi sulla questione senza avere risposte precise. Galileo e Cartesio si cimentarono in entrambe le professioni, ma il primo fu più fisico, il secondo più filosofo. Le scienze cominciarono ad emanciparsi dalla filosofia in maniera più netta all’incirca nel diciassettesimo secolo: la prima a prendere le distanze fu la fisica, seguita da chimica, biologia, economia e psicologia. Da un punto di vista concettuale quindi la filosofia dà origine alla scienza, o meglio: le scienze progrediscono da essa. Si tratta di un progresso, un ampliamento, un’estensione delle tecniche di studio della natura. Perché la filosofia è una metadisciplina (Pigliucci in particolare si occupa di filosofia della scienza) e comprende ogni area del sapere all’interno del suo studio.

L’autore ricorda infine come la convinzione per cui le materie scientifiche siano utili e le materie umanistiche non lo siano derivi da un modo errato di concepire l’educazione pre-universitaria: secondo questa logica sbagliata, le uniche scienze utili sarebbero medicina e ingegneria. «Quale sarebbe l’utilità della cosmologia per uno che non sia del settore?» si chiede Pigliucci ironicamente. Questi due vasti mondi da sempre dipendono l’uno dall’altro e non esisterà mai una linea di confine netta, almeno per quanto riguarda lo studio: le collaborazioni fra scienza e filosofia continuano ad esistere e definiscono i criteri fondamentali della conoscenza umana.


«Darwinismo in crisi?» è un confronto vivace e stimolante che vede protagonisti Massimo Pigliucci e Guido Barbujani. Il primo, docente di filosofia al City College e al Graduate Center della City University di New York, ha alle spalle una brillante carriera accademica come biologo e genetista; in questo evento esplora insieme a Barbujani, genetista di rilievo nel panorama internazionale, la messa in crisi del caposaldo della biologia: l’evoluzionismo.

Subito Pigliucci evidenzia come la crisi dell’evoluzionismo sia iniziata ben presto, con lo stesso Darwin; quest'ultimo si è mosso infatti con grande cautela nella formulazione e nell’esposizione delle sue teorie temendo il giudizio dell’opinione pubblica. Tuttavia, oggi e in particolar modo negli Stati Uniti, abbiamo a che fare con un fenomeno capillare: il rigetto dell’evoluzionismo. Il 40% degli americani rifiuta totalmente in ogni suo aspetto le teorie di Darwin, un altro 40% le accetta a grandi schemi interpretando alcuni aspetti in chiave religiosa e solo il restante 20% le accetta pienamente. Pigliucci che si occupa da anni di polemiche sull’evoluzionismo e sui loro risvolti nei programmi scolastici, ha partecipato a diversi dibattiti head to head con sostenitori del creazionismo; facendo riferimento alla sua esperienza, il filosofo afferma come il rigetto delle teorie di Darwin sia diffuso in modo così capillare negli Stati Uniti non tanto per una questione di intelligenza o educazione del popolo americano quanto per una questione culturale, radicata nel loro modo di pensare. Il creazionismo è un «filtro diverso con cui viene vista la realtà».

D’altra parte, facendo riferimento al panorama scientifico, l’evoluzionismo risulta essere il paradigma (usando il lessico dell’epistemologo Thomas Kuhn) della biologia, la sua teoria portante corredata di strumenti di analisi e libri di testo. Con la diffusione a partire degli anni Cinquanta della biologia molecolare, seguita poi dalla rivoluzione genomica degli anni Novanta, è iniziato un arricchimento continuo della biologia. L’evoluzionismo rimane il suo caposaldo ed è importante non dimenticarsene.


«Due terzi degli europei e tre quarti degli italiani non vedono più la Via Lattea».

Questa una delle tristi conclusioni cui sono giunti Fabio Falchi e Riccardo Furgoni al termine della loro ultima ricerca, di recente pubblicazione, che hanno presentato giovedì 8 settembre nel corso della seconda giornata della ventesima edizione del Festivaletteratura di Mantova.

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Il Nuovo atlante mondiale dell’inquinamento luminoso, che oltre ad essere un Made in Italy è anche orgogliosamente un Made in Mantova, è già tra le cinquanta pubblicazioni scientifiche più citate al mondo anche al di fuori dai canali di comunicazione prettamente scientifica. Tuttavia l'emergere di questa "popolarità" una volta constatato un problema, e quindi un danno, mette in luce terribili lacune per quel che riguarda la prevenzione del problema stesso.

Fino a fine Ottocento abbiamo avuto a disposizione dei nostri sguardi l’immensità cosmica della notte naturale, illuminata dalla luna, dalla luce zodiacale diffusa dalle polveri orbitanti attorno alla terra, e dalle stelle della nostra galassia, che vista di taglio chiamiamo Via Lattea. Fino a un secolo fa la Via Lattea era visibile da un orizzonte all’altro e illuminava e solcava il cielo; oggi un terzo degli abitanti del mondo non può più vederla a causa dell'inquinamento luminoso, l’alterazione ad opera dell’uomo dei livelli di luce naturale presenti nell’ambiente notturno. Le conseguenze di questa alterazione spesso smodata (si parla di fonti di luce notturna artificiale di intensità anche centinaia di volte maggiore di quella naturale) sono tante: dai danni al paesaggio, per cui ci stiamo letteralmente privando dello spettacolo della notte stessa, alle implicazioni per la ricerca scientifica astronomica (se il cielo non si vede c’è ben poco da ricercare).

Basta pensare che il telescopio nazionale italiano Galileo è stato impiantato alle Canarie, e che la ricerca operativa astronomica è stata praticamente espulsa dal luminosissimo territorio europeo. Ma gli effetti dell'inquinamento luminoso non si limitano a questo, hanno implicazioni anche sulla salute (dai disturbi del sonno, alla compromissione dei livelli di produzione di melatonina nell’organismo), sulle specie animali animali (che regolano i loro comportamenti in base ai livelli di luce naturale), fino ai danni ambientali ed economici, perché per produrre la luce di notte inquiniamo e spendiamo. Nonostante tutti questi effetti negativi l’inquinamento luminoso è il più trascurato dalle politiche di conservazione e prevenzione.

Nel corso dei secoli il nostro rapporto col cielo si è modificato: per gli antichi il cielo stellato era fondamentale, in base ad esso regolavano i tempi di semina e di raccolta, e di conseguenza i ritmi della vita stessa; inoltre il cielo racchiudeva un profondo significato mistico e metafisico, in quanto interfaccia cosmica con la divinità.

La tecnologia ha reso la nostra vita più comoda, ma ha relegato il sapere astronomico nelle mani degli specialisti, come ha parcellizzato tutti gli altri saperi. Ma non è solo questo: se il nostro rapporto con il cielo è cambiato è anche perché il cielo ormai non si vede più, l’abbiamo cancellato dalle nostre notti. Tuttavia, come ha ricordato Riccardo Furgoni durante l’incontro: «L’inquinamento luminoso non è come l'inquinamento da metalli pesanti o da scorie tossiche o radioattive, e per risolverlo basterebbe semplicemente spegnere la luce».

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