Terza notte con i volontari
13 9 2015
Terza notte con i volontari

di Matteo Corradini

C'è quella canzone che parla di una ragazza. E in quella canzone la ragazza è una che è sicura che tutto quel che luccica sia oro. Ho sempre pensato di essere io, quella ragazza. Forse perché non riesco a pensare diversamente, ogni cosa che brilla ha in sé l'oro prezioso, ogni cosa che luccica possiede la luce, anche solo per un istante prima di rispecchiarla e restituirla al mondo, possiede la forza di trattenerla, non ne rimane accecata e scottata.

I giovani che ho visto in questi giorni nella famigerata palestra Sacchi hanno un po' di questa luce negli occhi, luccicano senza farsi male. Li conosci, ti avvicini pian piano come ci si avvicina a un gatto trovatello per mostrargli una ciotola di latte, e quando sei abbastanza vicino ti accorgi che il tempo è passato ed è già ora di chiudere e salutarsi.

«Ma la vita è triste e solenne. Ci fanno entrare in un mondo meraviglioso, ci incontriamo, ci salutiamo e percorriamo la stessa strada per un pezzo, poi scompariamo nel medesimo modo assurdo e improvviso in cui siamo arrivati», scriveva con tristezza Jostein Gaarder nel mondo della sua Sofia.

C'è un gusto delle cose che ci rimane dentro, c'è un senso che ci rimane addosso. Il mio stamattina era di rosmarino. Eppure mi ero fatto la doccia ieri sera, ma quell'odore di rosmarino, e conseguentemente di arrosto, non mi ha abbandonato per tutta la notte. Chi era a cucinare arrosti alle tre? Solo all'alba mi è tutto chiaro: sul fondo del mio sacco a pelo qualcuno ha nascosto un bel ramo, odoroso.

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Maledetti scherzi... Mi rifaccio la doccia e ripenso ai desideri di Margherita, quando diceva di andarsene in Russia ieri.

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Ripenso anche a quel che Lucrezia mi diceva sulla sua ansia, aggiungendo i suoi pensieri sul senso del loro servizio, e del festival.

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Al risveglio, ogni cosa riappare, il mondo riprende a respirare e tocca a te continuare a camminarci dentro. Alla sera siamo capaci tutti di essere amici, in forma, simpatici e belli. Credo che la prova più grande, per tutti, sia passare insieme un risveglio. Ci salutiamo, ma per loro ho una sopresa.

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Temo soprattutto che questa palestra sia stata costruita sopra un cimitero sumero. Lo capisco da una coincidenza spettacolare per la quale dovrò rivelare un cognome, ma senza il luogo di provenienza. Così manteniamo un po' di privacy.

Di Lucrezia ce ne sono due. Quando conosco la seconda, le esprimo la mia sorpresa: su quaranta persone un caso simile è davvero difficile. Ma la coincidenza non è questa: la prima Lucrezia si chiama Rosa di secondo nome. La seconda Lucrezia si chiama Rosa di cognome. E detto questo, vado a preparare le pallottole d'argento per fermare gli zombie che emergeranno dal cemento del pavimento questa notte. Klatu Barata Nikto, o giù di lì.

I risvegli sono belli, a proposito di zombie. E i risvegli dei volontari sono fiduciosi, non c'è che dire. Anna e Samuele ci raccontano perché ne vale la pena.

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Edda gonfia un palloncino come dovesse dare aria a se stessa per ripartire leggera.

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Edoardo e Lucrezia (una delle due, non vi rivelo quale) si preparano a uscire.

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Maria Elena ha una voce convinta e coraggiosa, mi rivela che la coperta di Winnie the Pooh sotto la quale dorme era del suo gatto.

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Ed ecco che non troppo lontano lo vedo, è il libro che avevo in mente al mattino, proprio lui.

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Dice: «Per molte persone il mondo è incomprensibile nello stesso modo in cui è impossibile capire come il prestigiatore possa estrarre un coniglio da un cappello a cilindro che un attimo prima era assolutamente vuoto». È quel che provo ora, che ci si abbraccia e ci si saluta, ciao, arrivederci, ci si rivede, eh, chissà quando, magari a scuola, in un lab, a volte passo nella tua città.

Non li capirò mai, ne sono certo. Mentre temo che loro capiscano benissimo me. Non li capirò non perché siamo diversi, quello al limite potrebbe aiutare, non li capirò perché non voglio, preferisco questo mistero, questa distanza piena di promesse.

So di essermi illuminato di luce riflessa, in questi giorni strambi di festival. Doveva essere qualcosa di avventuroso e divertente, e lo è stato, ma dentro me so che è stato qualcosa di luminoso, vivere queste notti e queste albe insieme, rivedersi di giorno con la confidenza di chi si è visto in pigiama, a lavarsi i denti, a sognare. Arrivederci, ragazzi del festival. Grazie, di ogni cosa.

E quando ve ne andate, non spegnete la luce.

Festivaletteratura