You never had it. An evening with Bukowski
7 9 2017
You never had it. An evening with Bukowski

Lo scrittore, il visionario, l'uomo

Una lunga fila di persone attende silenziosa in Via Oberdan l'inedita intervista all'autore di You know and I know and thee know. Ubriacone, misogino, irriverente, perverso, polemico, genio. Questo è il Charles Bukowski che conosciamo. Ma l'autore più discusso degli ultimi decenni, non smette di stupire e di svelarsi nelle sue molteplici sfumature.

Dal documentario di Matteo Borgardt «Humanity you never had it. An evening with Bukowski», presentato per la rassegna Pagine Nascoste di Festivaletteratura, emerge una figura originale e inconsueta dello scrittore. Un ritratto introspettivo dell'uomo Bukowski si dipana lentamente fra bicchieri di Petite Sirah. Questa è una storia che inizia molti anni addietro, come racconta enfaticamente agli spettatori Silvia Bozio, presente in sala, intervistatrice nelle riprese e madre del regista. E comincia proprio da Los Angeles quando una giovane Bozio, accompagnata dall'amica Fernanda Pivano, incontra Charles Bukowski. A questa prima intervista ne seguono molte altre. La polarità fra intervistato e intervistatrice sfuma sempre più fino a trasformarsi in un profondo rapporto di amicizia e serate in compagnia. Nel mezzo di una di queste interminabili sere di alcool e parole, Hank (così era soprannominato Bukowski) abbassa lo sguardo, cambia tono vocale e scalzo per le stanze della casa di San Pedro, conduce gli spettatori attraverso le molte sfaccettature della sua personalità.

Gli argomenti trattati sono molteplici, dai pochi scrittori amati, al sesso e le donne: «scopare e bere non significa poi molto» dirà sorprendentemente l'autore di Women. Ma a risaltare è il ritratto di un uomo ormai anziano che dal salotto di casa inveisce indomito contro l'umanità, attraverso la costante e sottile ironia di chi ha abbandonato ogni pretesa sul mondo. In questo documentario, Bukowski irride le illusioni dell'uomo moderno, i suoi futili bisogni, la ricerca costante di condivisione di sentimenti e pensieri che finiscono poi per «diluirsi come un vino annacquato», il narcisismo di poeti e scrittori che parlano di tutto, ma «non hanno mai tempo per raccontare che la moglie si è rotta il braccio».

Le parole crude del poeta descrivono un cimitero di morti ambulanti sulla Terra, in paillette, giacca e cravatta. Mentre i vecchi nastri U-matic scorrono sullo schermo alternandosi alle immagini di una consumistica Los Angeles, la voce rauca dell'autore narra ad una coinvolta Silvia Bozio, che «un creatore, per essere tale, deve stare sempre cento anni avanti» e Bukowski aveva visto molte cose in anticipo. Nella storia dell'orrore che è la sua infanzia, ancora prima di conoscere gli uomini, aveva intravisto l'odio nel volto della nonna e in quel volto riconobbe il volto del mondo. Le percosse del padre gli insegnarono la letteratura più vera, imparò da lui il vero significato del dolore, il dolore senza un motivo. E «se da tutto ciò ti rimane qualcosa, sarà qualcosa di reale». Questa realtà è la miniera d'oro delle opere di Charles Bukowski, la penna squarcia il fulgido velo dell'apparenza che ricopre e addolcisce il mondo. Fa a pezzi stereotipi e sicurezze, perché la donna ideale è una puttana con un dente d'oro e l'alito che sa di salame, un po' scema e un po' matta, e dice tutto questo accarezzando dolcemente il braccio della futura moglie Linda Lee.

Dagli sguardi e dalle parole di Hank traspare tutta la tensione, la tragicità caotica delle storie quotidiane di uomini comuni. Da questo Dioniso dell'epoca moderna, dal volto intenso, vibrante e ambiguo non si può sfuggire e tiene gli spettatori del cinema Oberdan incollati alle poltroncine di velluto rosso invitandoli a danzare sull'orrido della vita, tra una boccata di sigaretta e un bicchiere di vino. Si accendono le luci in sala e le parole condensano in un fragoroso applauso.

Il Bukowski sullo schermo non è un santo ne un profeta, forse è solo un fool shakespeariano che smaschera i giochi illusori e le ipocrisie della società, facendoci sentire tutti un po' più nudi. Il documentario mostra un uomo senza filtri nella sua vulnerabile controversa umanità, che ricorda a tutti i presenti in sala «umanità, tu non l'hai mai avuta fin dall'inizio» e sembra di vederlo sorridere laconico, solo, in un tavolo d'osteria conficcando la forchetta in un tortello alla zucca davanti al flusso di persone affaccendate.

Festivaletteratura