Ansia, politica e particole
9 9 2022
Ansia, politica e particole

Saverio Raimondo e Jacopo Cirillo: fare ridere è una cosa seria

Svecchiare la comicità italiana sembrava un’impresa impossibile: fatta di gag, barzellette e imitazioni, nell’ultimo decennio pareva sempre più leggera e superficiale (a esclusione di rare perle, s’intende). Ma da qualche anno a questa parte, la pratica della stand-up comedy si sta diffondendo anche in Italia, dove colleziona non solo ammiratori e seguaci, ma anche comici e comiche che decidono di farne una pratica propria.

Eravamo abituati, infatti, alla commedia dell’arte e alle mille varianti del cabaret: e certo possiamo vantare grandissimi nomi, da Fo, a Bergonzoni, a Benigni.

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In America, invece, a partire dagli anni Sessanta, il cabaret diventa presto un fervente laboratorio in cui mixare confessioni personali, satira dei costumi e irriverente invettiva politica. Nasce così la stand-up comedy: letteralmente “la commedia in piedi”, prevede solo il comico, in piedi, con in mano un microfono e di fronte il pubblico che ride nella semioscurità del locale. Egli si mette a nudo, senza filtri o censure, abbattendo la quarta parete; senza travestimenti, trucco o costumi. Anche la comicità è diversa: sotto una grande influenza del british humor è affilata e sferzante, assolutamente incurante di ferire qualsivoglia sensibilità e fortemente satirica.

Ad oggi, America e Regno Unito presentano una quantità di stand-up comedian senza dubbio tra i migliori della nostra generazione: Louis C.K. e Ricky Gervais, per citarne un paio. Irriverenti, feroci, a tratti sconcertanti, hanno contribuito alla diffusioni di questo genere di spettacolo e al suo tipo di comicità satirica.

Saverio Raimondo esce sul palco e comincia a sferzare colpi senza risparmiare nessuno, nemmeno la defunta Regina Elisabetta II, a poche ore dall’annuncio della sua morte. Ha una voce squillante e tutto il suo corpo sembra vibrare di un’energia che scalpita per uscire. Si muove su e giù, alza i toni, si rivolge direttamente alle persone del pubblico. Tocca tutti i temi più delicati: comincia dal disturbo d’ansia, passa alla depressione, rifila un’immancabile battuta sui nazisti. Poi arriva alla politica, alle prossime elezioni; al divario di ricchezza che esiste nel mondo tra l’1% della popolazione che possiede di più del restante 99% messo insieme. Finisce per interrogarsi addirittura sul sacramento della comunione: l’ostia è il corpo di Cristo, ma quale parte? Il petto? La coscia? È una parte magra? Qual è il suo valore nutrizionale?

Non ha risparmiato nulla e nessuno, senza mai fermarsi, in un’incessante spettacolo che ha travolto il pubblico. Una stand-up comedy impeccabile, alla vera scuola americana, come in Italia se ne vedono ancora troppo poche anche se, per fortuna, ultimamente sempre di più.

Due anni fa, usciva su Netflix un suo spettacolo, che si intitola “Il satiro parlante”.

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Raimondo si definisce proprio così: un satiro, ovvero colui che fa satira. Dopo aver sputato fuoco sul palco, si siede con Jacopo Cirillo e i due discutono su cosa sia, effettivamente, la satira. È un tema che ha dato molto da parlare in tempi recenti, in cui si è sempre più intimoriti di offendere e pestare i piedi a qualcuno; in cui il politically correct è quasi legge e la suscettibilità imperante. Su cosa si può ancora scherzare? La satira ha una tradizione secolare e, soprattutto, italiana. Le prime avvisaglie di satira si hanno in Grecia, in varie diatribe e in motivi sparsi in tante opere della letteratura, sino a Luciano. Tuttavia, il creatore della satira propriamente detta (nome, tra l’altro, di origine latina, nato a Roma) fu Lucilio, fino ad arrivare a Seneca con il Apokolokyntosis e Petronio con il Satyricon, che costituiscono i precedenti del saggio e del romanzo satirico moderni.

Anche i padri fondatori della lingua e della letteratura italiana si sono cimentati nel genere della satira: si pensi alla satira politica o politico-religiosa delle liriche di Guittone d’Arezzo, Iacopone da Todi, in alcune perfino di Petrarca; senza dire delle invettive dantesche. Boccaccio, in particolare, è grande cultore della satira: tutta satirica è la prosa del Corbaccio, ma molta se ne trova anche all’interno del Decameron.

Fare satira, dunque, non è “un gioco da ragazzi”: è necessario essere a conoscenza della tradizione precedente, per poterla capovolgere. Bisogna conoscere i meccanismi del comico e del dissacrante. Raimondo sostiene che la satira lavora sempre contro il male, contro ciò che è sbagliato: politici mostruosi, corruzione, disonestà. Lo fa in maniera irriverente, presentando spesso, a sua volta, qualcos’altro di sbagliato, presentando un altro tipo di torto. Il comico satirico, per Raimondo e Cirillo, deve sempre essere dalla parte del torto: deve mettere in luce il marcio che sta esaminando, ma allo stesso tempo essere in fallo anche lui. Così facendo, spinge chi lo ascolta a chiedersi cosa, a qual punto, sia corretto, e possibilmente a trovarlo. Non deve quindi indicare direttamente cosa sia giusto, elevare il Bene contro il Male, ma deve rimanere ambiguo: perché il riso è un potente strumento di seduzione e persuasione, che rischia di diventare propaganda.

«Non prendetemi sul serio», dice Raimondo, «i comici non vanno presi sul serio». Il pubblico non lo deve fare e loro non devono chiederlo: se questo dovesse avvenire, il meccanismo si romperebbe e la satira non funzionerebbe più. È invece importante che funzioni e che continui a dire cose indicibili e impensabili, perché in questo modo evidenzia l’errore; se queste cose indicibili dovessero restare in mano a chi ha potere e viene sempre preso sul serio, rischiano di diventare dei pericolosi messaggi.

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