Aprite questa porta (della percezione)
11 9 2016
Aprite questa porta (della percezione)

La relazione fra musica e trance nel mondo

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Secondo il compositore Fabrizio Puglisi, il rapporto fra musica e trance ha origini antichissime, ma sopravvive ancora oggi in alcuni culti africani. Non si tratta tuttavia dell’unica zona in cui si è diffuso storicamente un certo tipo di rituale, esso infatti è stato presente in Sudamerica, in Asia e anche in Italia, più precisamente nel Salento, con il cosiddetto tarantismo. La musica e la danza sono i due elementi fondamentali per la ricerca del contatto con la divinità, prerogativa necessaria nella trance. Altri componenti necessari sono l’uso di droghe, l’incisione di disegni e tatuaggi sulla pelle e un particolare tipo di vestiario. La parola stessa “trance”, rappresenta una condizione transitoria (dal latino “transire” = attraversare) che prevede il passaggio dalla malattia alla guarigione. Ecco allora la potenza terapeutica dell’arte musicale all’interno di un rito.

La premessa necessaria perché si verifichi il fenomeno della trance è il contesto della sottocultura. Essa diventa lo spazio in cui scaricare la tensione derivata dal potere di un singolo o di un piccolo gruppo nei confronti di una collettività sottomessa. Nel tarantismo, per esempio, donne e contadini erano la vittima principale del morso del ragno, capace di generare sintomi quali convulsioni, pianto, malessere e lacerazione delle proprie vesti. Il gesto va tuttavia considerato nella sua accezione simbolica: non si trattava di un morso vero, ma di una scusa per poter esprimere la repressione nei confronti del padrone e soprattutto la sottomissione psicologica e nervosa. La cura più diffusa era la musica. Per tre giorni ininterrotti i musicisti sostituivano i medici nella ricerca della guarigione del paziente. Quest’ultimo veniva osservato e stimolato da suoni e ritmi che si facevano sempre più dinamici e incalzanti fino a quando il malato non dava un segno, ed il musicista allora ripeteva quel beat preciso all’infinito. La terapia si articolava in tre fasi: la prima caratterizzata da movimenti a terra e leggere convulsioni, la seconda dalla simulazione della posizione del ragno con le braccia e la terza da una danza frenetica in piedi fino al momento di crisi in cui il paziente crollava a terra. Questa procedura andava ripetuta di giorno e di notte.

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Anche nel continente americano, la santeria cubana derivava dalla sottocultura, in particolare dallo schiavismo. Altra caratteristica fondamentale era dunque la comunicazione con la divinità. La trance avveniva secondo il repertorio del proprio santo, che si trovava grazie all’aiuto di un indovino. Nei riti cubani, la voce amplificava il potere della musica. Tutti gli adepti conoscevano a memoria il testo e lo utilizzavano sia nei riti di iniziazione (pratiche segrete ed esoteriche) e nei culti successivi.

Durante la trance, l’adepto non è se stesso, bensì il dio con cui ha cercato di mettersi in contatto. Al risveglio, non ricorda nulla di quello che è accaduto. In questa ottica, Puglisi distingue due tipologie di rituali: una appunto la trance, l’altra l’estasi. Se la prima è collettiva, densa di musica, danza ed iperstimolazioni sensoriali, la seconda è individuale e avviene nel silenzio, nell’immobilità e nelle ipostimolazioni sensoriali. Non si tratta sempre di un movimento frenetico e convulso, ma cambia a seconda della zona geografica. Nel rapporto con la musica, l’aspetto fondamentale diventa ancora una volta il contatto con il trascendente, che si verifica attraverso un lungo viaggio alla ricerca di una nuova consapevolezza percettiva e sensoriale.

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