Che cosa resta?
7 9 2016
Che cosa resta?

Corrado Augias e la lettura nel pieno della rivoluzione elettronica

Corrado Augias non ha certo bisogno di presentazioni. Soprattutto per il pubblico di Festivaletteratura, per il quale il giornalista è una sorta di padrino. Nel 1997, infatti, fu proprio lui a tenere il primo incontro della prima edizione del Festival, dove gli si chiedeva che cosa restasse della lettura alla vigilia della "rivoluzione elettronica". Oggi, diciannove Festivaletteratura più tardi, nel pieno di quella stessa rivoluzione, ha ripreso il filo di quel ragionamento insieme al pubblico della Tenda Sordello, nell’Accento inaugurale di questa ventesima edizione.

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La polvere da sparo, la stampa a caratteri mobili, e più tardi l’elettricità, il telefono, la tv: a ognuna di queste scoperte «ai confini della stregoneria» sono corrisposte per l’uomo grandi aspettative e altrettanto grandi interrogativi, pari a quelli suscitati dai cambiamenti che, dagli anni ’80 in poi, ci hanno traghettati nella civiltà degli schermi.

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«Come non riusciamo ancora a vedere i confini del nostro universo, così non vediamo ancora le ultime conseguenze alle quali ci porterà l’elettronica», ha detto Augias, citando Stephen Hawking. Siamo ancora in una fase di passaggio: gli apparecchi «dal cuore di silicio» di cui ogni giorno ci serviamo hanno senz’altro cambiato il nostro modo di leggere e scrivere e continueranno a modificarlo in modi che non conosciamo ancora. Ma a chi identifica il cambiamento col deterioramento, Augias ricorda che le innovazioni vanno domate e mai temute, e che il bisogno di letteratura è insopprimibile per l’uomo. Per poi confidare al pubblico che, se alla lettura tecnica e utilitaria lo schermo ben si adatta, non c’è niente come la carta per la lettura “affettiva”, e concludere la sua riflessione con parole prese a prestito da Petrarca: «Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo, non alle nozze della figlia o alla notte con l’amante e alle insidie del nemico o al processo o alla casa o al podere o al tesoro; e, almeno fin che legge, voglio che sia solo con me».

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