Che il mio segreto mi sia legge
8 9 2023
Che il mio segreto mi sia legge

Un'immersione nella performance sonora di NicoNote

È anacronistico pensare al giorno d’oggi di poter provare i sentimenti peculiari del Romanticismo in una chiave contemporanea? Dall’insoddisfazione per la realtà in cui siamo immersi, si può vivere il dolore della Sehnsucht, un desiderio sempre irrealizzato di trascenderla spiritualmente? In definitiva, è ancora possibile un abbandono studiato all’irrazionalismo, che dia voce alle più intime aspirazioni dell’individuo?

In questa appassionata idea crede profondamente NicoNote, alla nascita Nicoletta Magalotti (Rimini, 1962), artista di origini italo-austriache che Festivaletteratura ha avuto il privilegio di accogliere sul palco del Teatro Bibiena per un concerto flusso ibridato a un dramma che connette «attraversamenti romantici» di molteplici provenienze. Performer, cantante di raffinata vocalità, lettrice di poesie, sperimentatrice del suono: NicoNote è un’artista complessa e poliedrica, che abbraccia tutte queste definizioni e che allo stesso tempo vi sfugge, senza mai lasciare che le tradizionali etichette di classificazione monopolizzino la sua imprendibile forma espressiva.

Le luci del teatro calano gradualmente, solo la scena dietro al palco illumina con dei bagliori caldi il tavolo dietro cui si posiziona NicoNote, che per tutta la durata della performance governa un tavolo su cui si destreggia fra un mixer audio per deejay, un portatile e il suo microfono.

L’attacco è scandito da una musica tensiva di sottofondo, su cui l’artista recita i versi di una poesia in tedesco. È uno spettacolo in cui le trasformazioni del tono del sonoro e della lingua poetica avvengono impercettibilmente: come se fossimo distesi sul lettino di uno psicanalista, i freni inibitori del pensiero si allentano e il trasporto emotivo ci investe al punto da farci sfuggire questi frequenti cambi di rotta.

Ecco allora che sembrano iniziare suoni più dolci, guastati tuttavia da alcune interferenze che ne corrompono la purezza iniziale. La capacità di creare distorsioni ed effetti stranianti che fanno precipitare i suoi spettatori in un vuoto di certezza è certamente una delle qualità più spiccate della performance sonora di NicoNote.

A una chiusura su un rumore di passi, l’artista intona una poesia, Dell’estraneo: «qui ormai nessuno mi riconosce, qui ormai nessuno mi conosce». È uno struggente momento rivelatorio quello in cui la coscienza realizza la propria estraneità al mondo, il proprio senso di sradicamento e non appartenenza, che attraversa la sensibilità preromantica come la miccia che farà deflagrare poi per reazione l’orgoglioso desiderio di identificarsi nella patria. Sarebbe interessante chiedersi allora se in un’età come quella contemporanea, che già vede una crescita progressiva dei nazionalismi, questi versi poetici non siano più la premessa, quanto la conseguenza di tale situazione politica. Nell’epoca contemporanea gli esseri umani non sembrano forse ristagnare senza soluzione nel vuoto delle verità?

Su una musica di pianoforte NicoNote intona poi il proprio canto in lingua tedesca, un canto viscerale che lentamente sfocia di nuovo nella poesia, questa volta in lingua italiana. Quello che l’artista ci presenta è un verso di raro nitore espressivo e di eccezionale pertinenza, «che il mio segreto mi sia legge nell’aria, nell’istante infinito»: in una situazione contraddistinta dalla perdita assoluta dei riferimenti, è solo l’inesprimibile riposto nel più intimo ricettacolo dell’interiorità soggettiva che può orientare ogni azione.

Riprende il canto: questa volta in inglese, con un sottofondo sonoro molto dolce ma tormentato da un ritmo battente e attutito, oltre che da una voce radiofonica di donna che parla italiano, apparentemente in tono disteso e quasi giornalistico. Ben presto però, la voce femminile si fa più insistente e sembra quasi pronunciare una formula magica, un sortilegio o una sentenza sul destino di chi l’ascolta.

Il sottofondo sonoro a tratti è tanto coinvolgente da essere pensabile da utilizzare come colonna sonora, che sottolinei l’azione. Non a caso il movimento ha un ruolo centrale nell’esibizione, poiché NicoNote sottolinea il suo canto con le movenze delle sue braccia, l’ondeggiamento del busto, le inclinazioni della testa: la sua musica la investe con una potenza tale che con tutta se stessa partecipa alla creazione del grande movimento. Il pianoforte scandisce questa prima sequenza esemplificativa, con una folla acclamante di sottofondo, come in un concerto live.

Il tema classico del connubio amore-morte si dispiega nell’accostamento di due poesie in lingua italiana.

«Nel meraviglioso mese di maggio il profumo dell’amore ha conquistato e contagiato il mondo»: è il tripudio dell’amore nella stagione primaverile, effimero quanto l’effluvio di essenze floreali che impregna l’atmosfera. Il cambiamento di tono tuttavia è imminente: l’equilibrio vacilla e dopo un intermezzo in lingua tedesca, ecco emergere la tetra negazione di quella stessa vita appena sbocciata.

La seguente poesia in italiano ha invece come attacco Nostalgia per la morte: «Sia lodata da noi l’eterna notte. Lodato il sonno eterno. A cosa serve in questo mondo il nostro amore, la fedeltà, il tempo? E se anche piacere e vita parlava, qualche cuore si spezzava per audacia d’amore. Nostalgia ansiosa. Il tempo. Non c’è più nulla da cercare. Il cuore è sazio. Il mondo vuoto. Non c’è più nulla da cercare». La ripetizione delle parole è ossessiva, come quella che farebbe una mente tormentata da una monomania esistenzialista che ha ormai realizzato nella coscienza la vanità di ogni impeto di salvezza dello spirito. Ci troviamo catalizzati nel turbine di un crescendo poetico che sembra quasi attraversato da un’estasi erotica, disperata nel suo struggimento.

«Io vivo nel corso dei giorni colmo d’intrepida fede. E muoio le notti in un rogo di ardor divino», recita NicoNote: il complesso patrimonio di idee, schemi cognitivi, pregiudizi, opinioni, e valori che costruiamo nella vita sono condannati al disfacimento sul rogo, benché l’artista lanci qui una provocatoria rivendicazione della propria autonomia di pensiero, non ritrattabile nemmeno davanti alla morte. Questa tragica constatazione è ritmata dalla luttuosa cadenza di zoccoli di cavallo che riecheggiano nel vuoto.

A seguito di una canzone che culla l’ascoltatore sulle parole Remember me, improvvisamente Nico Note prorompe in uno scoppio isterico di risate sguaiate, con un effetto di straniamento che rasenta l’inquietante: questa serie psichedelica di sensazioni è merito di una stupefacente capacità di modulazione della voce, dai toni più profondi e suadenti a quelli più acuti e striduli di un lamento fanciullesco.

Ecletticamente, NicoNote spazia la propria campionatura musicale da tracce di grandi compositori classici come Franz Liszt (con Schwanengesang, S. 560 - No. 4 Ständchen) a brani del repertorio alternative rock e grunge come Something in the Way dei Nirvana, il cui ritornello è cantato con alternanza di toni fra rabbia e abbandono melancolico alla disillusione. Ogni brano è reinterpretato come il riflesso di un’interiorità polimorfica, mai imbrigliabile in un’unica frequenza.

L’esibizione si chiude spegnendosi nella voce che lamenta la propria estenuazione esistenziale: «Ho perduto la sacra forza con la quale potevo creare universi attorno a me». Il dolore si risolve però nella consapevolezza che «quello che sono tutti lo possono sapere ma il mio cuore lo possiedo io solo».

NicoNote ci lascia con un’unica visione quasi profetica di un fiore blu: cerchiamo senza posa questo simbolo arcano e attraente, senza mai trovarlo, perché in esso sembra fiorire la buona sorte che tanto agogniamo. Ma cos’è, in definitiva, il nostro fiore blu?

«Cerco una passione che sia di fronte a me e mi parla senza dire parole»: forse tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una vocazione interna, un fuoco dell’anima non negoziabile, che ci parli di noi stessi e di qual è il destino che è in serbo per noi senza il bisogno nemmeno di una parola.

Nessuna chiusura della performance sarebbe stata forse più calzante delle parole di In a Manner of Speaking, brano del 1985 della band statunitense new-wave dei Tuxedomoon, che dello sperimentalismo ha fatto – come NicoNote – la propria vocazione:

In a Manner of speaking

I just want to say

That I could never forget the way

You told me everything

By saying nothing

[…]

O give me the words

Give me the words

That tell me nothing

O give me the words

Give me the words

That tell me everything

Festivaletteratura