Come si educa alla paura?
8 9 2023
Come si educa alla paura?

La genesi di un "nobile" sentimento

La paura è un sentimento che ci accompagna dalla nascita, noi infatti «veniamo al mondo spaventati» e cresciamo con fiabe e racconti molte volte paurosi come monito per i pericoli.

È proprio citando una “fiaba” che Donato Carrisi, il maestro italiano del thriller, sale sul palco del Festivaletteratura per educare alla paura. Nel 1959 a Martina Franca, suo paese natale, una donna, dopo avere subito numerose violenze dal marito, decide di ucciderlo e di gettarlo in mare. La storia di cronaca nera diventa lo sfondo perfetto per il racconto della nonna e della madre di Carrisi, che tingono di magico realismo il ritorno a casa della donna, che seduta ripensa a quanto accaduto e inizia a sentire la voce del marito che la chiama dalla canna fumaria. Questa, come lui stesso sottolinea, era una sua fiaba della buonanotte e scherza «poi mi chiedono perché scrivo storie di paura».

Le fiabe in passato erano crudi racconti che dovevano fungere da monito per gli ascoltatori. Sono i fratelli Grimm, nel XIX secolo, a trasporre su carta i racconti orali della tradizione popolare tedesca, aggiungendo il prefisso «C’era una volta» e il suffisso «e vissero tutti felici e contenti» che rivoluzioneranno per sempre la percezione delle fiabe: da quel momento, non hanno più un finale tragico ma un happy ending. Questo, però, non toglie loro valore: le fiabe, infatti, per loro natura mutevoli, «Se non cambiano e si adattano nel tempo, muoiono».

Come le fiabe, anche i romanzi dell'autore sono ispirati da avvenimenti reali. Uno dei fatti di cronaca che certamente ha più segnato l’esistenza di Carrisi, che lo ha più educato alla paura, vissuta contemporaneamente dall’Italia intera, è di certo l'incidente che ha coinvolto Alfredino Rampi: il bimbo di sei anni camminava per le campagne di Vermicino, in provincia di Roma, quando disgraziatamente cadde in un profondo pozzo artesiano in disuso. Scatta immediatamente l’allarme, prima per la ricerca del bambino e poi per il suo salvataggio. Qual è tuttavia la ragione per cui proprio questo, tra tanti avvenimenti altrettanto tragici, ha segnato indelebilmente le vite di molti italiani? Per rispondere basta rendersi conto del clamore mediatico che per la prima volta si è scatenato attorno all'episodio: il direttore di Rai 1 decide infatti di mandare sul luogo dell’accaduto una troupe televisiva, certo che il bambino fosse recuperato in poche ore. La volontà era quella di consentire agli italiani una festa collettiva: assistere al salvataggio del bambino mentre, seduti a mangiare, guardavano la televisione.

La festa non ci fu mai, e l’attenzione riservata ad Alfredino divenne sempre più morbosa. Più di diecimila persone si radunarono attorno al pozzo e l'arrivo del Presidente della Repubblica Sandro Pertini contribuì ulteriormente ad aumentare lo scalpore. Donato Carrisi all'epoca aveva soltanto otto anni, ma gli fu dato il permesso di seguire alla televisione tutta la vicenda, proprio perché vi era la convinzione che: «Dato che lo stavano trasmettendo in televisione, Alfredino non poteva morire».

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La scrittura di Carrisi è segnata da questa vicenda, lo si vede soprattutto nel modo in cui nei libri sono percepiti i media: ossessivi, morbosi e senza scrupoli; in grado di nutrirsi di tragedie per creare audience. È così che televisione diventa un mezzo per trasmettere la paura.

Si serve dei media anche l’ispettore Vogel, protagonista del libro La ragazza nella nebbia (2015), che decide di rendere la scomparsa di una ragazzina un caso mediatico nazionale. Nel 2017, sul set del film tratto dal libro, Carrisi racconta la paura che ha provato durante le prime scene girate dai due celebri attori protagonisti: Toni Servillo nelle vesti dell’ispettore, creato da Carrisi a propria immagine e somiglianza, e Jean Reno in quelle del Dottor Flores. L'autore temeva che i due potessero contendersi sulla scena, penalizzando la tanto bramata suspence. Servillo e Reno, in realtà, riuscirono poi a far di più: sdrammatizzare il tutto, mescolando il terrore cercato con l’umorismo ed evidenziando l’inaspettato (ma saldo) legame tra riso e paura.

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Ma la paura, oltre all’aspetto comico, può essere anche una potente arma di manipolazione. La fobia delle malattie che abbiamo provato durante la pandemia, ad esempio, è stata sfruttata da molti come spunto: il suo superamento è diventato una scusa per assumersi rischi, per liberarsi dai freni inibitori. Spesso siamo manipolati dalla paura e continuiamo ad esserlo, per questo è importante educarsi a questo sentimento, dice Carrisi :«chi non legge thriller è fregato perché la paura è un modo per conoscere i pericoli».

L’autore fa poi riferimento a due esempi di paura. Una creata artificialmente: è il caso della “ecoansia”. Termine coniato nel corso di un convegno di psichiatria tenutosi nel 2012, utilizzato dal 2018 dall’ecologista Greta Thunberg e riproposto questo stesso anno da una ragazza, nel corso dell’intervento del ministro dell’ambiente Gilberto Picchetto Fratin al Giffoni Film Festival. Ecoansia è una parola nata per volontà commerciale: si voleva trasformare l’ecofobia in una malattia riconosciuta e passabile di ricetta medica. Per questo e per il fatto che il termine stesso di “ansia”, proietta l’attenzione sul singolo e non sul generale, quando la ragazza lo pronuncia nel suo intervento, tutto quello che sta dicendo perde di significato. «Dovremmo avere paura delle parole? A volte sì», perché non sono semplici gruppi di sillabe, ma sono portatrici di significato.

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L’altra paura che dovrebbe, a suo parere, essere maggiormente presa in considerazione, è quella riguardante i social media. In passato gli unici mezzi per conoscere i nostri avi erano le fotografie e i racconti orali; si poteva usare soltanto l’immaginazione per sapere cosa pensavano, come vivevano e cosa amavano i nostri nonni o bisnonni. Con i social, invece, le future generazioni potranno conoscere tutto di noi. Sono riversati in rete ogni giorno innumerevoli dati e immagini, senza la reale consapevolezza di come essi possano essere utilizzati. Carrisi esorta all’essere vigili e, per quanto possibile controllare ciò che si posta in rete, tutelando soprattutto la privacy dei bambini, che finiscono sui social inconsapevolmente.

L’intenso incontro si conclude con la lettura di due testi di Carrisi, accompagnata al piano dall’amico e autore delle colonne sonore dei sui film Vito Lo Re. Il primo estratto dalla storia di Eva, spin off per il libro intitolato La casa delle luci (2023), e un secondo breve scritto in rima riguardante un generale che combatte ciò che ritiene anormale, ma, per citare la stessa storia: «Se il tuo nemico è un innocente, sei solo un vile che non vale niente».

Festivaletteratura