Confessiamo: il giallo è un sotterfugio
9 9 2023
Confessiamo: il giallo è un sotterfugio

Da Roma a Milano in un giro di noir: parola a Alessandro Robecchi e Giancarlo De Cataldo

Ciò che emerge dall’incontro tra Giancarlo De Cataldo e Alessandro Robecchi, sotto il colonnato di Palazzo San Sebastiano, non è solo un sentimento di stima tra i due scrittori, ma anche una grande complicità. I due scrittori divertono il pubblico di lettori affezionati a Festivaletteratura a colpi di freddure, in un continuo scambio di affettuose frecciate.

Alessandro Robecchi è nato a Milano, città per cui prova un odi et amo e ambientazione dei i suoi romanzi. Lo scrittore rivela che nel prossimo libro di Monterossi col titolo Pescivendoli in uscita a gennaio – il decimo! – la sua città sarà indirettamente protagonista. «Un po’ per vendetta», confessa, perché Milano è stata narrata encomiabilmente negli anni Sessanta da parte di Testori, Beppe Viola e molti altri grandi scrittori, milanesi e non. Ne sono state svelate le ombre proprio nel momento del pieno boom economico, quando la città era illuminata da una grande vitalità.

Da allora è avvenuta una grande divaricazione, racconta Robecchi, da un lato la supergalattica avanguardistica Milano bene, e dall’altro la narrazione da cinepanettoni. «Il milanese diventa il pirla con i soldi e sarà anche vero per certi versi, però in qualche modo vorrei ribellarmi a questo mito».

Giancarlo De Cataldo sorride. La sua Roma, protagonista dei suoi romanzi gialli è una città complessa, mastodontica e forse per questo motivo detestata (persino Giovanni Bosco sognava di dar fuoco a San Pietro!), che ne segna un’intangibilità e un immobilismo. «È una città che fa perdere facilmente il tessuto sociale, è facile perdere peso culturale». Lo scrittore crede che i romani abbiano la capacità di considerare la caducità dell’umane cose, rendendoli cinici. «Antipatici» lo corregge Robecchi, quasi sussurrando che infondo è solo perché gli invidia la facilità di ambientazione. Roma ha avuto un grande tradizione del giallo, rintracciabili addirittura da Tacito, fino a Romanzo criminale.

Il giallo, per entrambi gli scrittori, altro non è altro che un escamotage per narrare la realtà dell’Italia di oggi: la forza del potere criminale è innegabile. La sfida tra bene e male nel noir sono funzionali a descrivere la società, citando Dostoevskij il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.

Parlando delle loro ultime produzioni, De Cataldo e Robecchi notano un affiorare della commedia, segno di una certa forma di rassegnazione e accettazione del contemporaneo. «Invecchiando si capisce che il mondo non può essere cambiato» constata De Cataldo.

Un’altra caratteristica che accomuna i due scrittori è una particolare attenzione ai media e ai social. La spettacolarizzazione del crimine è endemica: la morte e la violenza sono onnipresenti nella nostra quotidianità, mediati dalla televisione. Ci confrontiamo quotidianamente con lo spettacolo della morte, con le catastrofi naturali e con gli omicidi più efferati. I palinsesti pullulano di programmi tv dedicati a crimini che per anni infestano i rotocalchi televisivi, sino ad anestetizzare il terrore e il dolore. Diventano una forma di intrattenimento, quasi una commedia. Il meccanismo, osserva De Cataldo, ha a che fare con il perturbante freudiano che riaffiora sotto forma di voyerismo macabro. È una doppia violenza: come se avessimo subito degli omicidi senza averli compiuti. Ciò che ci destabilizza e al contempo ci attrae, non riuscendo a fare a meno di staccare gli occhi dallo spettacolo della violenza. Il modo che gli scrittori hanno trovato per demistificare il fenomeno è stato esasperarlo e portarlo al livello di una caricatura, insegnando ad avere un atteggiamento autoironico nei confronti della vita.

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