Da Testaccio all'Olimpo
8 9 2023
Da Testaccio all'Olimpo

L'itpop è giovanissimo ma già causa nostalgie.

Tommaso Paradiso annuncia che tornerà a suonare con Marco Rissa, Coez e Frah Quintale fanno un album insieme, Lofficina della camomilla già fa la reunion: com’è possibile che la fase di revival, che di solito richiede trenta o quarant’anni, per l’indie italiano sia arrivata nel giro di poco più di un lustro? Si celebrano brani del 2015, ’16, anche ’17: com’è possibile?

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Alla lavagna di stasera Dario Falcini, direttore di Rockit, propone di tentare di storicizzare, e ipotizza due ragioni per questo fenomeno: da un lato la «drammatica paura del futuro» degli artisti, che hanno visto impazzire i ritmi della discografia con l’avvento del digitale; dall’altro la fase di nostalgia che attraversa oggi la cultura italiana nel suo complesso. Una nostalgia immediata, a cui non basta rimpiangere gli anni ’60 o ’80, ma arriva a idealizzare il 2015 o ’16. «Il retropensiero» commenta Falcini «è che andrà sempre peggio».

Falcini ripercorre la storia dell’indie (o dell’itpop: ma il giornalista precisa che sono, in fondo, due etichette vuote — come, secondo lui, tutti i generi musicali) facendo ascoltare al pubblico dieci pezzi «che hanno cambiato le cose», in modi diversi. La carrellata include Per combattere l’acne delle Luci della centrale elettrica, I pariolini di 18 anni dei Cani, Razzi arpia inferno e fiamme dei Verdena, Sono così indie dello Stato Sociale, Stormi di Iosonouncane, Oroscopo di Calcutta, Completamente dei Thegiornalisti, La musica non c’è di Coez, Pellaria di Carl Brave x Franco 126, Amanda Lear dei Baustelle.

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È difficile a prima vista trovare il minimo comune denominatore fra canzoni così diverse; che peraltro coprono un decennio, dal 2008 al 2017. Si supera appena il 2016, l’anno di acme di Calcutta, Thegiornalisti e Coez, che hanno raggiunto una notorietà incomparabile con quella dell’ambiente da cui vengono. «Molti di loro fino al giorno prima suonavano per dieci persone a Testaccio» racconta Falcini «e ora eccoli all’Olimpo». Dall’azzardo dei Thegiornalisti con Riccione, un pezzo coraggioso da proporre in quell’ambiente, alle sperimentazioni di Iosonouncane, del cui album Die il brano Stormi era quello più popolare, il che è tutto dire: «questo non è commerciale» commenta Falcini, ancora una volta caustico «questo è il più oscuro Battisti che incontra, non so, gli Apparat». Due poli opposti di uno stesso fenomeno, sembrerebbe.

Perché in fondo l’unico requisito per fare indie italiano è lavorare con un’etichetta indipendente e non con una major: e perfino questo requisito conosce le sue eccezioni. Come il caso dei Verdena, che sono pubblicati dalla Universal ma prodotti da uno di loro, Alberto Ferrari, in un ex pollaio dalle parti di Bergamo: «certo non servivano i Verdena per insegnarvi la complessità» dice Falcini, però forse aiutano.

L’incontro è allegro, scandito dalla riproduzione di parti delle canzoni: lo stesso pubblico che ha potuto concordare ragionevolmente, all’inizio, che il meccanismo della nostalgia per i brani indie anni ’10 è del tutto anomalo si ritrova a canticchiare Oroscopo e tenere il tempo con la testa. «Fanno bene, quindi, a fare i revival» commenta Falcini: d’altronde non è un caso se qualcuno, con l’indie italiano, organizza pure i karaoke.

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