Di amori e stupori naturali
9 9 2022
Di amori e stupori naturali

Helen MacDonald racconta la complessità di un pianeta ostinatamente non umano

Il porticato di Piazza Castello e il cielo azzurrissimo di Mantova sono una cornice perfetta per accogliere le riflessioni intime e universali dei Voli vespertini di Helen MacDonald. In dialogo con Michela Murgia, la scrittrice e naturalista inglese si immerge nei sentieri personali e boschivi che hanno accompagnato i suoi animal studies, negli scaffali ideali di una Wunderkammer organica e letteraria, nell’alterità e nei complessi legami che l’umanità instaura ogni giorno con la natura.

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Come ci tiene a precisare sin da subito, la sua opera, una sinergia di lettere e scienze, è mossa dall’amore e dallo stupore per il mondo non umano, sentimenti che cercano di superare le nostre proiezioni culturali con cui si tende a osservare la natura. Si ha l’abitudine di contrapporre, persino semanticamente, il concetto di ferino a quello di umano, eppure i più profondi aspetti dell’individuo vengono allacciati costantemente al mondo naturale. Perché è quasi un vizio irrinunciabile quello di proiettare il proprio ego su ogni ecosistema, di sentirsi il suo fulcro e attribuirvi caratteristiche e, con più gusto, difetti (coraggioso come un leone, pavido come un coniglio) che in realtà troviamo solo in noi e non nelle specie che disturbiamo con tanta disinvoltura.

La continua proiezione dell’ego umano sull’universo, che la scrittrice ricorda «non appartiene, e non è mai appartenuto, soltanto a noi», crea una certa problematicità nel riconoscere e accettare l’altro, nel rispettare e nel preservare la complessità, anzitutto della flora e della fauna. Questo comporta, per esempio, una maggior cura e salvaguardia per gli animali che appaiono al nostro occhio più teneri e carini, e ha determinato per secoli i rapporti dell’uomo con creature ritenute mostruose e crudeli, come nel caso delle balene.

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La relazione di potere che si instaura con il mondo non umano inizia sin dall’infanzia e per molti il primo incontro con la natura avviene tramite gli oggetti. Gli animali giocattolo rappresentano un territorio di libera azione per il bambino, un luogo in cui sperimentare con la propria identità e fantasia, ma anche esercitare ogni genere di controllo e distruzione sul proprio animale finto. Lo stesso avviene, seguendo regole e sensibilità diverse, con gli animali d’affezione, domestici e selvatici. Nel corso dei secoli questa categorizzazione è notevolmente mutata e lo stesso vale per i rapporti degli individui con gli animali. È il caso della falconeria che, come ricorda Helen MacDonald, si è modificata in base alla sensibilità storico-culturale.

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La falconeria è un punto centrale in Io e Mabel, romanzo in cui la scrittrice racconta il legame, sempre più paritario, che è riuscita a instaurare con un’astore, la Mabel del titolo. L’animale è tutto ciò che la donna vorrebbe essere: solitario, imperturbabile, estraneo e insensibile ai dolori umani. E se per la scrittrice la falconeria diventa una soluzione per elaborare e convivere con il lutto del padre, il tempo passato con Mabel non è di certo un mero addomesticamento: le due finiscono per instaurare un accordo, una partnership.

Io e Mabel, Voli vespertini e tutta l’opera di Helen MacDonald non sono chiassosamente politici, eppure chiamano all’azione e al cambiamento, offrono un esempio di amore e gioia per l’alterità, invitano il lettore a (ri)trovare la propria voce e confrontarsi con il proprio tempo. Perché il ritorno delle rondini e delle formiche volanti a ogni stagione, i funghi che animano silenziosamente le foreste come «manifestazioni visibili di un mondo tanto indispensabile quanto trascurato», persino un cinghiale sbucato dal folto della foresta foresta possono sono il simbolo di una speranza complessa e poetica che non merita di essere mai dimenticata.


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