Di quanti colori possono essere gli addii?
10 9 2021
Di quanti colori possono essere gli addii?

Bernhard Schlink con Marilia Piccone sulle sfaccettature della vita e sulla scrittura che le indaga

Il 9 settembre stata pubblicata in Italia la terza raccolta di racconti di uno dei maggiori scrittori tedeschi contemporanei: I colori dell’addio di Bernhard Schlink. Dopo Bugie d’estate e Fughe d’amore, il libro celebra la pienezza della vita attraverso l’esplorazione delle molteplici forme, delle diversissime tonalità e delle infinite sfumature che possono assumere i diversi momenti di addio, anzi, come puntualizzano la traduttrice letteraria Marilia Piccone e l’autore, «di commiato non dalla vita, bensì nella vita».

Il filosofo-scrittore medita infatti sul dovere di separarci innumerevoli volte nella vita, in modo sorprendente, liberatorio, doloroso, oppure concludendo effettivamente qualcosa per dare inizio a qualcos’altro di nuovo: la fine della fase della fanciullezza o del percorso di studi, il trasferimento in una nuova città, l’inizio di una nuova storia d’amore o di un nuovo lavoro… Non si affronta quindi solo il tema dell’addio ad una persona cara e nemmeno il commiato dalle illusioni, o «bugie di vita», che ci raccontiamo per tutta la nostra esistenza, argomento che lo scrittore di Bielefeld ha già affrontato in altre sue opere, come nel romanzo Il fine settimana. In altre parole, «non si tratta di un libro triste».

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E comunque, anche ne I colori dell’addio ritroviamo un tema che da sempre sta a cuore allo scrittore tedesco e del quale Il lettore, il suo romanzo più celebre da cui è stato tratto il film The Reader – A voce alta (con Kate Winslet e Ralph Fiennes), ne è esempio lampante: l’analisi della relazione complessa tra giustizia e menzogna presente nella Storia della Germania - soprattutto quella del Novecento, di cui Schlink è assiduo narratore - così come nella vita di ogni persona. L’autore, nato in un ambiente familiare molto religioso e con formazione da giurista, non smette quindi di interrogarsi con genuino interesse sul rapporto tra giusto e sbagliato, vero e falso, buono e cattivo, nella ferma convinzione che, a differenza di quanto sosteneva il filosofo Theodor Adorno, ovvero che «non c’è vita vera nella vita falsa», «ci possa essere del giusto in qualcosa di sbagliato e viceversa».

La figura di Irene, la misteriosa donna scomparsa di cui si ritrova il ritratto nel romanzo Donna sulle scale, è emblematica per comprendere questa investigazione del doppio e della diversa percezione della realtà. L’autore magistralmente si serve dei due significati del sostantivo “Bild” che in tedesco può indicare una “rappresentazione”, «quella che i tre personaggi maschili del romanzo si fanno della protagonista» oppure “quadro/ immagine”, «ciò che la protagonista ha di se stessa, che vuole per sé e che ad un certo punto nella storia decide di portare via in Australia». Per l’uomo di legge la scrittura funge quindi, da un lato, da metodo per scandagliare l’animo umano e la complessità delle relazioni interpersonali e per sfidare il lettore a interrogarsi su come si comporterebbe in condizioni storiche differenti (ma non troppo), dall’altro, permette «una temporanea alienazione dalla propria realtà per divertirsi a vivere altre vite».

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