Dialoghi d'Europa in musica
8 9 2016
Dialoghi d'Europa in musica

Un viaggio dell'anima tra le epoche e i luoghi

Un intellettuale che conosceva la musica, Marcel Proust, scriveva che essa «è forse l’unico esempio di quello che avrebbe potuto essere la comunicazione delle anime, se non ci fosse stata l’invenzione del linguaggio».

Dilungarsi su quanto le note possano superare i confini e farsi latrici di messaggi veramente universali significherebbe ricorrere a formule vecchie e logore; d'altro canto, esse hanno più volte contribuito a definire e cementare identità: i soldati di tutti i paesi sono andati alla morte spronati da canti e marce patriottiche, i movimenti di contestazione e controcultura, dalla Swing-Jugend agli hippies, si sono sempre associati a una precisa modalità di espressione musicale. Grande, dunque, è la forza dell'arte di Euterpe, e, malgrado la sua dimensione intrinsecamente effimera, indelebili rimangono le tracce di quanti la abbiano praticata dando prova di sommo valore.

Si può dire che, al pari di ogni altra forma di espressione artistica, l'autore che intenda cimentarvisi non possa farlo se non in ragione dell'opera dei grandi maestri del passato, entrando così in rapporto dialettico con essi, al di là del tempo e dello spazio, sia che guardi loro con ammirazione, sia che desideri sovvertirne i principii e i canoni. Così, nell'ambito di quella che potremmo chiamare "Weltmusik", capita che, nel bel mezzo delle tragedie del secolo breve, il francese Henri Dutilleux guardi con rapito struggimento allo stile sereno e misurato del classicista Franz Josef Haydn, dal quale però, di tanto in tanto, emergono le angosce e i turbamenti di un Settecento fatto non solo di pizzi e crinoline.

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Il vero riferimento musicale di Dutilleux resta però Claude Debussy, compositore alla ricerca del preziosismo orchestrale, uno dei punti chiave della scuola francese, che vede il suo culmine nell'opera di Maurice Ravel.

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Spostandoci più a Est, capita di imbattersi in artisti innovatori anche all'estremo delle loro vite, i quali però non si staccano mai dalla più verace vena popolare della loro terra, come Leoš Janáček, e in quanti invece guardano al passato remoto e alle radici profonde della tradizione colta occidentale, tra i quali spicca il nome di Arvo Pärt.

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Si intuisce allora come, nella storia europea, non siano esistite molteplici vie nazionali alla musica, ma un corpus unitario di opere e autori: anche quando, sullo scorcio dell'Ottocento, imperò la moda del recupero dei folklori locali, essa investì simultaneamente tutti i Paesi. Prendere coscienza di ciò può essere un valido punto di partenza per la costruzione di un senso comune di appartenenza continentale, tanto più auspicabile nel nostro tempo di diffidenze reciproche e contrasti tra Stati vicini.

Uno dei più interessanti ensemble dell'attuale scena musicale propone - all'ora di pranzo - celebri composizioni di autori francesi accostati a brani di musicisti provenienti da aree geografiche diversissime. Un percorso narrato e suonato, didattico ed emozionante al tempo stesso, alla scoperta di uno dei valori più attuali e intramontabili dell'arte: il dialogo tra culture, lo scambio fertile di conoscenze, la ricchezza delle differenze.

In questo viaggio dell'anima tra le epoche e i luoghi saremo accompagnati dal talento divulgativo di Giovanni Bietti, pianista e conduttore radiofonico, e dalla passione interpretativa dei giovani componenti del Quatuor Hermès.

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Immagine: Derek Gleeson [CC BY-SA 3.0] via Wikimedia Commons.


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Il Quatuor Hermès, uno dei più interessanti esemble dell'attuale scena musicale, si è esibito nelle musiche di Arvo Pärt e Maurice Ravel. Due violini, una viola e un violoncello, quattro diversi strumenti che hanno lasciato le vesti di solisti per dialogare, per parlare attraverso i suoni. Sulle versioni in quartetto d'archi lo scrittore Johann Wolfgang Goethe aveva affermato che: «Sono una raffinata conversazione fra amici dello stesso suono». Il risultato è un accostamento di modi opposti di far musica che annulla completamente le differenze culturali e mette piuttosto in evidenza la ricchezza dei contrasti. «La musica è in grado di fare anche questo», spiega il compositore e musicologo Giovanni Bietti, che fa da voce narrante per tutto il corso del concerto, talvolta offrendo pillole sulla storia biografica dei due artisti e sul loro stile musicale, talaltra lasciando al pubblico la libertà di interpretazione.

La prima traccia che il quartetto esegue è Fratres, una composizione del 1992, un'opera della maturità, quella del minimalismo estremo e lo stile tintinnabuli (ovvero "delle piccole campane", la ripetizione cioè delle note di un accordo tonale) che contraddistinguono il compositore estone e fanno dell'ascolto della sua musica un vero e proprio viaggio introspettivo, giacché la semplicità dell'ascolto aumenta l'emotività dell'ascoltatore, che si fa quasi contemplazione. La sua musica viene infatti paragonata al canto gregoriano.

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Il Quartetto in fa maggiore di Ravel è invece di tutt'altro genere, perché al musicista francese piace il movimento, cerca continuamente di trasformare i temi che cambiano così sempre carattere, evocando in alcuni momenti, ad esempio quando i musicisti pizzicano le corde degli strumenti, la cultura spagnola.

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Così la staticità e il movimento si ritrovano in un perfetto connubio e Pärt e Ravel non hanno difficoltà ad avvicinarsi l'uno all'altro: un perfetto dialogo d'Europa in musica.

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