Dialogo bipolare
6 9 2018
Dialogo bipolare

Dal brigantaggio al radicamento delle 'ndrine nel nord Italia: un paese diviso tra troppi poteri

La disaffezione verso le forme tradizionali della rappresentanza politica, la rabbia nei confronti delle élites che attraversano oggi gran parte delle comunità occidentali sono sentimenti che trovano alimento nelle trasformazioni profonde che attraversano l'organizzazione dei sistemi economici e la natura stessa delle democrazie.


È un dialogo dai toni accesi quello tra Enzo Ciconte, calabrese, tra i massimi esperti delle dinamiche mafiose e della criminalità organizzata nel Mezzogiorno e Gian Antonio Stella, vicentino, editorialista e inviato di politica, economia e costume del "Corriere della Sera". Un incontro tra Nord e Sud in tutti i sensi, che si basa proprio sulla difficile relazione tra i due “poli” del nostro paese.

Ciconte, che per undici anni è stato consulente della Commissione Parlamentare Antimafia ed ex deputato della X legislatura della Repubblica italiana, nel recente libro "La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio" ha descritto dettagliatamente la reazione al fenomeno del brigantaggio dagli albori dell'età moderna alla dura repressione messa in atto nei decenni successivi al 1861: una tematica ampia e talmente complessa da risultare invisibile all'attenzione mediatica, quindi taciuta dal dialogo politico e intellettuale contemporaneo, nonostante l'evidente necessità di essere affrontata per eliminare l'insano bipolarismo che caratterizza il nostro paese.

Le differenze economico-sociali e culturali tra nord e sud Italia hanno infatti radici profonde e rappresentano un ostacolo allo sviluppo omogeneo della nazione; un ostacolo che sarà possibile superare solo facendo i conti col passato, chiarendo quanto accaduto dal Risorgimento all'avvio del processo di industrializzazione del paese e della conseguente crisi dell'agricoltura. Si tratta di anni caratterizzati dalla sanguinosa lotta al brigantaggio: la situazione di crisi dell'età postunitaria ha visto un incremento dei crimini contro le proprietà terriere di aristocratici e latifondisti, diventando un problema al quale i poteri statali non sono stati in grado di rispondere se non con il sangue. Quanto è accaduto nel Mezzogiorno però non può essere attribuito alla responsabilità dei soli piemontesi, dal momento che l'esercito Sabaudo è stato aiutato da esponenti meridionali di una borghesia in ascesa.

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Una situazione speculare, in cui degli appartenenti a uno dei due “poli” dell'Italia favoriscono i “nemici” al di là del confine, si verifica oggi contestualmente al fenomeno del radicamento delle 'ndrine calabresi nel nord Italia. Ciconte fa notare giustamente che la mancanza di controllo del territorio da parte dell'ndrangheta al Nord rende necessaria la collaborazione di tecnici autoctoni, i così detti “uomini cerniera”, al fine di adempiere agli intenti criminosi dell'organizzazione.

Dallo scenario descritto sembra quasi che Nord e Sud abbiano saputo collaborare solo per soddisfare interessi personali o azioni negative; considerazione che fa nascere il seguente quesito: «Come mai queste due parti d'Italia non sono mai riuscite a comunicare e capirsi nonostante entrambe ambiscano a uno sviluppo omogeneo della nazione?»


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