Dimenticarsi di sé
8 9 2017
Dimenticarsi di sé

La vita di Charles de Foucauld secondo Pablo D'Ors

Nobile francese, ufficiale in Africa, esploratore poi convertito al cristianesimo, frate trappista, custode di un capanno in un convento a Nazareth, infine martire: tutto questo e molto altro è stato Charles de Foucauld (1858-1916), eppure – fa notare Alessandro Zaccuri – nessuno scrittore aveva mai scelto di scrivere questa vita che «è già un romanzo». A metterla per iscritto ci ha pensato Pablo D’Ors, che con L’oblio di sé (Vita e pensiero, 2016) ha deciso di omaggiare un personaggio cui lo lega un vincolo particolare che chiama «una vera e propria storia d’amore».

(caricamento...)

D’Ors accoglie il pubblico in un modo inconsueto, ovvero intonando un canto: Oh pobreza, fuente de riqueza. Lo fa, dice, «per perdere subito la reputazione», per non preoccuparsi più di sé stesso e dell’opinione che il pubblico potrebbe farsi di lui e lasciare invece l’intera scena al suo personaggio. Si tratta, a ben vedere, dello stesso schema che ha segnato la vita di de Foucauld, uno che a un certo punto ha voluto vivere il vuoto, dimenticarsi di sé e smettere di utilizzare la parola io, mettere a tacere «il pupazzo dell’io». Ma si tratta solo di una delle tante analogie che legano autore e personaggio, in primis l’origine della scrittura: se il secondo è diventato un «grande ricercatore dello spirito» nel momento in cui ha avvertito una mancanza e il bisogno di cercare altro, il primo ha sentito il bisogno di raccontare la sua vita proprio in un analogo momento di crisi personale, spirituale, autoriale – al termine del quale, proprio come Charles, ha fatto «esperienza del deserto, del vuoto».

(caricamento...)

L’ego di questo personaggio multiforme – un ego al quale D’Ors, paradossalmente, fa dire “io” in un romanzo che è un diario fittizio – è l’angolo che questa volta D’Ors ha scelto per indagare l’identità e l’essenza della vita umana. Ma se per scrivere di un ego bisogna mettere un po’ di sé stessi, come si può scrivere di un santo? La risposta di D’Ors è: «bisogna provare ad essere santi. Ascoltare e mediare. Non si può scrivere di santità se non provi tu stesso a essere santo». Solo con il lavoro interiore, infatti, si può recuperare la letteratura alla spiritualità e finalmente opporre alla narrativa del buio una «narrativa della luce».

Festivaletteratura